Ugo Magri, la Stampa 9/8/2012, 9 agosto 2012
AGGREDIRE IL DEBITO, LA FASE 3 DI MONTI
L’attacco al debito pubblico entra nella «hit parade» dei temi politici. Ne sono andati a discutere ieri con Monti dapprima Casini e poi, qualche ora più tardi, Alfano. Il primo nella veste di super-tifoso del governo, impegnatissimo a delineare i terreni di gioco dell’autunno; il segretario Pdl quale latore di una proposta specifica e corposa, 15 pagine messe a punto da un gruppo di lavoro guidato dall’ex ministro Brunetta, dove si suggeriscono strumenti per abbassare di 400 miliardi la montagna del debito, oggi molto vicina ai 2 mila. Più sciolta e informale la visita di Casini (con il leader centrista Monti ha ragionato di tutto un po’, compresi temi delicatissimi come l’eventuale richiesta di soccorso all’Europa, su cui però siamo ancora al «carissimo amico»); più rigido nel protocollo l’interminabile incontro del Prof con Angelino, presente il ministro dell’Economia Grilli, e concluso da un comunicato ufficiale diffuso da Betty Olivi, la portavoce del premier. La sostanza è che, si spiega nella nota, «il governo condivide la finalità della proposta» targata Pdl, e dunque «si è convenuto di proseguire questo approfondimento comune». Alfano ha lasciato Palazzo Chigi tutto soddisfatto per l’accoglienza davvero inappuntabile e per l’interesse autentico, così perlomeno ha riferito al Cavaliere, con cui Monti gli ha dato ascolto. Dimenticato l’incidente del giorno prima («per noi è chiuso, spiamo gente positiva e leale» assicura Alfano) causato dalla battuta del premier sullo spread a quota 1200, casomai Berlusconi fosse rimasto a Palazzo Chigi.
Poi, si capisce, non è che Monti sposi le tesi del centrodestra. Un conto è ascoltarle con rispetto, altra cosa sottoscriverle in toto. Tra l’altro Palazzo Chigi fa presente che la nuova legge sulla revisione della spesa pubblica già indica «diverse misure volte alla valorizzazione e successiva dismissione del patrimonio dello Stato sia degli immobili sia delle partecipazioni pubbliche». La fase due della spending review, che entrerà nel vivo tra settembre e ottobre, avrà come obiettivo proprio il piano di rientro dal debito, non è che al Tesoro stanno a pettinare le bambole. Come se non bastasse, le stime di Grilli sui possibili tagli al debito pubblico sono molto più contenute, 15-20 miliardi l’anno anziché gli 80 del Pdl (Casini, sarcastico: «Leggo cifre da capogiro, fuori misura...»). Però è un fatto che l’iniziativa di Alfano tatticamente si dimostra abile, se non altro perché coglie impreparato il Pd, dove è in corso una pubblica lite tra favorevoli e contrari a una tassa patrimoniale, abbastanza suicida dal punto di vista del consenso. «Noi invece», rimarca polemico il capogruppo Pdl Cicchitto, «vogliamo tagliare il debito proprio per ridurre la pressione fiscale», quantificata in un punto all’anno per cinque anni nella proposta Alfano-Brunetta. Dove si suggeriscono al governo un mix di strumenti non sempre nuovi di zecca, via via elaborati da economisti come Forte, Savona, dagli stessi Amato e Bassanini. Si propone di vendere tutto il vendibile, e di riversare il resto in un apposito fondo privato che, a fronte degli asset pubblici ricevuti, emetterebbe obbligazioni volte a risanare il debito. Gli stessi proponenti riconoscono che 400 miliardi di ricavi li vedremmo con il binocolo. «Ma se non siamo ambiziosi», dicono, «non porteremo a casa nemmeno la metà della metà».
Con i suoi ospiti, ieri Monti ha eluso il tema della riforma elettorale. Però il tema ribolle, specie nel Pdl. Dove cresce il numero di chi teme che Bersani e Casini preferiscano, sotto sotto, votare con la legge attuale. Per una strana nemesi, i berlusconiani rischiano di essere spazzati via dal «Porcellum». Pur di cambiarlo sarebbero disposti perfino a far cadere il governo.