Giovanni Vigo, Sette 10/8/2012, 10 agosto 2012
FERROVIE, LA NEW ECONOMY DELL’OTTOCENTO
Le bolle speculative non hanno sempre origine da progetti fantasiosi. Secondo Joseph Schumpeter il fatto più rilevante per lo sviluppo dell’economia nella società capitalistica è l’innovazione. Tuttavia fra la nascita di un’idea e la sua affermazione trascorre sempre un lasso di tempo durante il quale c’è chi ritiene di poter ottenere guadagni eccezionali battendo gli altri sul tempo. «Le invenzioni e le novità hanno sempre eccitato gli speculatori», ha scritto Edward Chancellor. Con la rivoluzione industriale le occasioni per infiammare la loro fantasia si moltiplicarono.
A dire il vero i primi progetti sui quali si concentrò l’attenzione degli speculatori avevano una solida base nella realtà. A risucchiarli nel mondo dei sogni fu, come sempre, una inestinguibile sete di denaro. Consideriamo il caso dei canali. Nel 1767 il duca di Bridgewater fece costruire un canale di 50 chilometri per trasportare il carbone dalle sue miniere di Worsley a Runcorn, dove era sorto uno dei primi distretti tessili. Un’idea brillante: nel XVIII secolo il costo del trasporto su strada era molto elevato soprattutto quando si trattava di trasportare merci pesanti come il carbone. Il successo dell’impresa era assicurato e trovò subito numerosi imitatori. Nell’arco di vent’anni furono costruiti più di 1.500 chilometri di canali. Le società che arrivarono per prime colsero le opportunità più redditizie e furono in grado di pagare cospicui dividendi.
Intorno al 1790 la speculazione fece il suo ingresso trionfale. In pochi anni il Parlamento approvò la costruzione di oltre 50 nuovi canali, più di quanti ne erano stati approvati nel mezzo secolo precedente. Nei mesi a cavallo fra il 1792 e il 1793 le quotazioni raggiunsero le punte più elevate e non c’era giornale che non dedicasse intere pagine alla pubblicità delle nuove iniziative, che non rendesse conto delle riunioni sempre più affollate degli azionisti, che non lasciasse presagire una nuova età dell’oro. Poi, improvvisamente, il vento incominciò a soffiare nella direzione opposta. La crisi commerciale del 1793 strappò il velo dell’ottimismo: i prezzi delle azioni crollarono e i dividendi diminuirono di dieci volte.
Un dividendo del 10%. La bolla dei canali era stata meno drammatica di quella dei Mari del Sud, ma avrebbe dovuto insegnare che per bruciare i propri risparmi bastava un nonnulla. E invece fu subito dimenticata. Nel 1830 si apriva infatti una nuova era, quella delle ferrovie. Dopo qualche discusso esperimento in quell’anno fu inaugurata la linea Liverpool-Manchester con una sorta di gara nella quale la Rocket, la celebre locomotiva di George Stephenson, sbaragliò tutti i concorrenti. L’affare si rivelò subito redditizio: la società che aveva promosso la ferrovia pagava un dividendo del 10% e il valore delle azioni raddoppiò. Cosa ci poteva essere di meglio per far salire immediatamente la febbre?
La ferrovia era un’invenzione straordinaria che consentiva di trasportare uomini, cose e notizie a una velocità impensabile fino a pochi anni prima. Nel 1835 era stata superata la barriera dei 100 chilometri orari. Dopo questo successo le distanze non venivano più calcolate in giorni ma in ore e in minuti. Sull’onda dell’entusiasmo un dirigente delle ferrovie non esitò ad annunciare che «niente, tranne la religione, è importante come le comunicazioni rapide».
Nel 1844 esistevano circa 200 società, alcune di dimensioni rispettabili, altre piccolissime. Come se esse non bastassero, nei primi mesi dell’anno si registrò un’impennata nella richiesta di autorizzazioni per costituire nuove società. Progetti per finanziare nuove linee sorsero ovunque, in aree dove non esistevano ferrovie come in contee già servite da una o più linee alle quali volevano muovere concorrenza. Per mettere ordine nel caos che si stava creando, il governo costituì un dipartimento ferroviario per esaminare le proposte di nuove linee. Il suo parere non era vincolante e infatti il Parlamento non ne tenne alcun conto, ma si mostrò sempre solerte quando si trattava di accordare concessioni a chi era in grado di ungere le ruote.
All’inizio dell’anno successivo la speculazione prese decisamente il sopravvento. Approfittando del fatto che la legge inglese consentiva di costituire società versando inizialmente soltanto 1/10 del capitale, ci fu un vero e proprio diluvio di iniziative favorite anche dalle Exchange Banks che prestavano denaro a chiunque volesse investire nella new economy dell’Ottocento. Nel contempo nacquero non solo nelle grandi città, ma anche in piccoli centri di provincia, Borse specializzate nella contrattazione di azioni ferroviarie. La speculazione mise le ali e nell’estate del 1845 il valore dei titoli di alcune società aumentò di sei volte in poche settimane.
La mania ferroviaria raggiunse il culmine a novembre. In una inchiesta condotta dal Times furono censiti non meno di 1.200 progetti di linee ferroviarie la cui realizzazione avrebbe richiesto un investimento di 560 milioni di sterline, una cifra superiore al reddito annuo dell’Inghilterra. Un’autentica follia. All’inizio del 1846 i primi nodi vennero al pettine: le società che dovevano iniziare i lavori delle linee approvate due anni prima chiesero ai loro azionisti di versare l’intero capitale sottoscritto. Decine di migliaia di speculatori non furono in grado di far fronte alla richiesta e dovettero vendere in tutta fretta le azioni. Fu l’inizio della fine. I guadagni tanto attesi si tramutarono in perdite e centinaia di società si sciolsero senza aver costruito un solo miglio di ferrovie. La grave crisi economica del 1848 completò l’opera di sfoltimento: le imprese più deboli furono costrette a fondersi con altre più robuste e, alla fine, restarono sul campo una ventina di gruppi regionali ridottisi ulteriormente in seguito.
Anche se la rincorsa al denaro aveva preso il sopravvento, non tutto finì con l’afflosciarsi della bolla speculativa. In quegli anni turbolenti si costruirono migliaia di chilometri di strade ferrate che incominciarono a disegnare il sistema ferroviario inglese. Forse per cambiare il mondo occorre talvolta un pizzico di follia.
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