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 2012  agosto 09 Giovedì calendario

PIÙ TEST PER TUTTI


È lo spread tra talento e selezione, il differenziale che misura il sapere italiano in velocità. Una croce su una risposta è la cifra del Paese: dall’accesso alle facoltà scientifiche fino alle selezioni per reclutare i nuovi professori. L’Italia finisce e inizia su una domanda, una nuvola anche questa sopra i crocicchi degli atenei nell’estate che sarà ricordata come la stagione dei test e dei corsi di preparazione. Strisciano i trolley e sulle spalle pure gli zaini pesano d’incertezza. Solo loro, gli aspiranti docenti, medici e architetti, sono rimasti sparsi per le università, quando ormai la scuola è finita, le saracinesche delle copisterie chiuse e gli studenti sono solo nomi in un registro imbiancato. Una legione di studenti che vogliono indossare un camice, una legione di laureati in fila dietro un acronimo chiamato Tfa (tirocinio formativo attivo), voluto dall’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che permette l’abilitazione di nuovi docenti nella scuola pubblica a distanza di 13 anni dall’ultimo concorso. E 13 anni sono passati pure sul volto di Maria Gori, laureata in lettere a Napoli, emigrante e docente di terza fascia a Varese, proprio nell’anno in cui si è svolta l’ultima selezione che la scuola ricordi. Sono un po’ più di 300 mila i candidati, tra «saranno professori» e matricole, una bolla che si gonfia non appena iniziano gli esami e che sarà una fabbrica di delusioni già sommersa da un’ondata di ricorsi, ipotesi di annullamento, le scuse del ministro Francesco Profumo e lo scherno per chi si è sottoposto all’esame.
«Ve lo spiego io cosa sono i test in Italia» dice Giuseppe Mauri alla Statale di Milano, nel giorno dei test per la classe 52, quella che permette di insegnare latino nei licei. È la prima volta, da quando è scomparsa la vecchia scuola di specializzazione (Ssis), che a un laureato viene data la possibilità di entrare nelle graduatorie pubbliche e di partecipare al concorso che il ministro Profumo ha annunciato per il prossimo anno. Eppure nel Paese dei titoli e dei dottori, nessuno è davvero un professore. Soppressa la Ssis l’unica via per insegnare finora è passata dalle scuole private. Una manciata di ore in uno dei tanti istituti parificati il più delle volte non retribuite. Si inizia così. Più ore, più punti. Con i punti si viene inseriti nelle graduatorie di terza fascia. È tra quelle effemeridi che le scuole reclutano quando non hanno insegnanti disponibili.
Improvvisamente il Tfa, dopo l’accelerazione impressa dal nuovo ministro, si trasforma non solo nel requisito per presentarsi al concorso, ma l’ultima chiamata per chi si è laureato a distanza di dieci anni e per chi insegna da irregolare. Un test scritto, un esame orale e la possibilità di svolgere un tirocinio di un anno in una scuola pubblica. Finito il tirocinio, per abilitarsi bisogna ancora presentare una tesi sul lavoro svolto. Successivamente sostenere un ulteriore test scritto e un altro orale. «Fanno sei prove in totale, ma il guaio è che forse non basterà. Mi chiedo come si faccia a chiedere tutti questi esami a un professore e permettere a un medico di sbagliare delle flebo» dice Francesca, una delle candidate, prima di entrare in aula. In realtà quella del Tfa è solo una prima selezione: quella vera avviene con il concorso, dopo il tirocinio. A disposizione ci sono 20 mila cattedre, metà delle quali verrà assegnata ai precari storici, mentre sono pochi i posti del Tfa per i neolaureati. Un esempio? Alla Sapienza per le classi di concorso di italiano e storia ci sono 50 posti, 90 alla Statale di Milano, 40 a Catania, 45 a Torino.
Tuttavia sono i costi (gli atenei hanno già incassato circa 15 milioni di euro) a far lanciare a Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil un j’accuse dai toni gravi: «È solo un business per foraggiare le università». Per partecipare all’esame del Tfa, infatti, i costi variano dai 50 euro di Trento ai 150 dell’Università di Catanzaro. Ma se di business si tratta, quello vero semmai inizia una volta superati i test. Quanto costa svolgere un tirocinio presso la scuola pubblica? Dipende. Ricominciamo da Trento: un anno di tirocinio viene a costare 3 mila euro, lo stesso che a Genova. All’università europea di Roma, invece, sono 5.068 euro, a L’Aquila 3.077, e lo stesso all’ateneo di Perugia. Al Politecnico di Milano sono invece 3 mila euro, a Messina 2.600, a Sassari 2.500. E questo soltanto per i contributi da versare all’università: poi, per qualcuno occorre sommare anche i costi di mantenimento. «È una fabbrica di illusioni» commenta Pantaleo «che dovrebbe consentire l’abilitazione per posti di lavoro che non esistono. Si è costruito un mostro. Ogni università decide i costi in maniera arbitraria». E non è tutto. Giovanna Pedrotti, palermitana, si è laureata sei giorni dopo la chiusura delle istanze di partecipazione. Alla sua festa di laurea il vestito rosso si è macchiato di spumante e pianto. Adesso è magra come un’allodola: «Non ce l’ho fatta e chissà quando passerà l’altro treno» dice sconfortata.
Il test, tuttavia, non è una croce soltanto per gli aspiranti insegnanti. Per prime furono le facoltà di medicina e architettura a imporli come criterio di selezione. Oggi è prassi anche nelle facoltà di scienze politiche e lettere. Il Politecnico di Bari li prevede per ingegneria, Cagliari per matematica, Torino pure per economia, Catania per lettere, Salerno per lingue. Si comincia il 4 settembre con il test di medicina, uguale per tutti gli atenei. Ma per arrivarci ci sono i corsi di preparazione. Poche le università che li organizzano gratuitamente o a prezzo modesto (Napoli tra queste); per il resto sono le associazioni studentesche ad allestirne. Sono sempre di più, invece, gli studenti che studiano privatamente. Medicina è l’esempio più vistoso. Alphatest prevede corsi da 150 ore a 4.280 euro, Unimed a 2.900 euro e sono di Alphatest e di Edises i tomi che gli studenti in maggioranza usano per prepararsi a medicina, rispettivamente: Teoritest ed Editest. Uno di questi, il Teoritest, ha numeri da best-seller se si pensa che rimane un eserciziario: 300 mila copie editate. Per tutti gli altri quiz ci si affida a un’altra sorta di sussidiario: 10 mila quiz. «Le domande significative sono sull’Unione Europea, la costituzione dei governi, le funzioni di organi istituzionali e la geografia politica, soprattutto di Asia e Africa» fanno sapere gli esperti Alphatest. «Una cosa è certa, bisogna ragionare per esclusione, se si riescono a eliminare almeno due opzioni, vale la pena rispondere, al contrario è preferibile lasciare in bianco». Già, perché una risposta errata è valutata meno 0,25, una incompleta 0.
Alcune domande, poi, hanno fatto rischiare la sommossa: come alla Sapienza quando, un anno fa, nel test d’ingresso per le professioni sanitarie si chiese cosa fosse la grattachecca. Un caso isolato? Non sembra, perché quelle 60 domande a cui rispondere in tre ore molti non riescono a comprenderle. Non è un caso se, come sottolinea il Cineca (il consorzio interuniversitario), il test Tfa di Filosofia è stato superato solo da 141 candidati su 4.239. Domande formulate erroneamente dal ministero (come: «Scrisse Qualcosa era accaduto» che non poteva ottenere la risposta «Buzzati» perché il titolo del racconto dello scrittore è Qualcosa era successo) e che oggi rischiano di far inceppare tutto l’ingranaggio visto che, come ha detto lo stesso ministro Profumo, i test Tfa saranno sottoposti a nuova valutazione e le domande errate formulate dal ministero considerate positivamente. Marco Indelicato di Monza è diretto: «Ci chiedono con chi non confini la Thailandia. Sono domande da cruciverba... E pensare che c’è chi ha tradotto versi su versi di latino e greco, a cosa è servito? Magari faremo ricorso. In Italia c’è sempre una sanatoria».

Carmelo Caruso