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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

Ci sono atleti che al momento dell’addio immagini traccheggeranno per il resto dei giorni senza appendere davvero le scarpe a qualche tipo di muro

Ci sono atleti che al momento dell’addio immagini traccheggeranno per il resto dei giorni senza appendere davvero le scarpe a qualche tipo di muro. Per sempre reduci. Ce ne sono altri in cui percepisci la spinta a cominciare una nuova vita da fuoriclasse. Uno fu Michel Platini. Mentre si congedava dal calcio, si capiva che fuori dal campo non si sarebbe accontentato di un’esistenza banale. La Idem è di quella pasta. Non si confonderà con il gregge, che scenda in politica o tenti una scalata nel Coni o dedichi a scrivere libri e storie di sport, com’è il suo obiettivo per la prossima Olimpiade. «Mi sono passati per la testa almeno 50 spunti di interviste o di racconti con i personaggi, anche i perdenti, che ho incontrato. Ora avrò il tempo per dedicarmici» dice, seduta in mezzo a una platea tre volte più numerosa di quella che attornia Danuta Kozak, l’ungherese che ha vinto. Lei invece ha concluso al quinto posto la sua ultima gara (forse l’ultima, perché potrebbe ancora disputare il campionato italiano in settembre a Milano) a un sospiretto brevissimo dalla quarta e a uno più lungo dal bronzo della sudafricana Hartley. «Eppure è Iosefa la medaglia d’oro, la vera novità dell’Olimpiade per tutto il mondo», ha appena dichiarato il presidente del Coni, Petrucci. Onore alla longevità miracolosa. A 47 anni l’azzurra è rimasta aggrappata alla finale contro 7 ragazze come la Kozak che potrebbe essere sua figlia. «Negli ultimi metri - ammette la Idem - ho guardato il traguardo e ho perso per un attimo la concentrazione per arrivare terza. Forse potevo fare qualcosa di più». Ma lo dice senza recriminazioni perché sa che è stato un grande addio. «Fino a due anni fa il podio l’avrei visto con il binocolo, oggi ci sono andata vicino. È stato mio marito a ripetermi che sono un animale da Olimpiadi. Purtroppo tra una e l’altra ci sono di mezzo quattro anni». Dietro le lenti fumè si vedono gli occhi umidi. La concessione alla lacrima, che ricaccia come può, è il suo lato italiano. Fortissimo. «Amo questo Paese per quanto mi ha dato - confessa -. In Germania, nell’88, dicevano che ero un’anatra di piombo, un’atleta finita. In Italia anche quando sono arrivata dietro a troppa gente nessuno mi ha detto che ero vecchia e dovevo smettere: addirittura nascondevate le cose che non funzionavano in me. Mi mancherete». «Non siate tristi per me - prosegue Iosefa -. E’ il momento di smettere, stava diventando troppo pesante dividersi tra sport, figli, famiglia, interessi, come una donna acrobata. E non ho mai apprezzato la fatica dell’allenamento che dà dolore. Schwazer ha detto che il suo sport gli dava la nausea e l’ho capito. L’avevo anch’io, a 24 anni pensavo di smettere, con la canoa è stato per anni un matrimonio forzato che a un certo punto è diventato un amore». Le chiedono cosa farà da domani. «Berrò un bicchiere di vino con mio marito che ha condiviso con me le diete a cereali e cibi che non sapevano di nulla. Saremo due sposini. Poi avrò più tempo per i figli anche se le donne che lavorano hanno sempre sensi di colpa mentre i figli pensano che noi madri già ci siamo molto più di quanto vorremmo». Scenderà in politica? «Devo pensarci ma sono refrattaria alle poltrone. Magari potrei dare qualche consiglio». E cosa dice a Beppe Grillo, che definisce le Olimpiadi una fabbrica di nazionalismo? «Grillo è un “patacca”: coglie i momenti di visibilità per fare scalpore. Le Olimpiadi sono l’evento più globalizzato che esista: ciascuno rappresenta un Paese ma non si pensa di invadere un’altra nazione perché si è vinta una medaglia». Si sente un modello per i giovani e per gli italiani? «Veramente credo di esserlo per i quarantenni e cinquantenni con la pancetta che hanno visto cosa si può ancora fare a quell’età. Agli italiani dico che dovremmo smetterla di buttarci giù: alla faccia dello spread siamo forti, abbiamo solo bisogno di un po’ di regole e di far crescere meglio i giovani. Confondono il valore della persona con il conto in banca e con la notorietà: abbiamo dato loro una visione distorta della vita, a scuola insegnano a ingerire nozioni anziché la gioia di vivere e la felicità di darsi un progetto. Purtroppo si mandano i più scarsi a lavorare con i più fragili». "PROGETTI" "«Scriverò storie di sport e finalmente berrò un bicchiere di vino con mio marito»" "L’AMORE PER ITALIA «Siamo forti alla faccia dello spread, abbiamo bisogno però di far crescere meglio i giovani»"