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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

L’autonomia della Val d’Aosta– La nostra bella e cara Valle d’Aosta è dunque la prima regione italiana a fruire di un regime di autonomia, il quale costituisce come una punta estrema (giustificata da peculiari circostanze) di quel decentramento amministrativo, a base regionale, della nostra struttura statale, che è nel programma di taluni fra i maggiori partiti italiani

L’autonomia della Val d’Aosta– La nostra bella e cara Valle d’Aosta è dunque la prima regione italiana a fruire di un regime di autonomia, il quale costituisce come una punta estrema (giustificata da peculiari circostanze) di quel decentramento amministrativo, a base regionale, della nostra struttura statale, che è nel programma di taluni fra i maggiori partiti italiani. Peculiari circostanze, abbiamo detto, giustificano questo particolare statuto elargito alla Valle d’Aosta: sono ragioni ben note, specialmente a noi Piemontesi, che dei Valdostani siamo, da mille anni, non solo i buoni vicini, ma i compartecipi della buona e dell’avversa fortuna politica. Sono ragioni geografiche, etniche e storiche, le quali fanno della Valle originale, cosi spiccatamente differenziata, e direi personale, nei suoi costumi e nella sua cultura, quale poche altre ne esistono in Italia e in Europa. Conviene anzi ricordare, per opportuna informazione e inquadramento, le amplissime libertà, le singolari prerogative di cui per lungo tempo godette, nella compagine dello stato piemontese, le Duché d’Aoste. Conviene osservare, per di più, che le questioni e gli interessi economici, predominanti nella nostra età materialistica – questioni d’acque, di miniere, di emigrazione – mentre in generale attenuarono ovunque le differenze, e livellarono le singolarità storiche e culturali, nel caso della Val d’Aosta non fecero invece che accentuarle, arricchendole di più impellenti motivi. È giusto, pertanto, che sia questa più antica e fedele fra le regioni d’Italia; che sia Aosta la veja a iniziare l’esperimento - ricco bensì di speranze, ma gravido anche d’incognite - cui si accinge il nostro Paese... L’autonomia valdostana intende essere, fra molte altre cose, anche un ponte gettato fra l’Italia e la Francia, il quale può diventare tramite di amichevoli e frequenti passaggi, e di positive intese, per la sempre maggior comprensione reciproca fra le due nazioni latine, così necessaria alla pace e alla ricostruzione d’Europa. Non pomo della discordia dunque (come si tentò di farla), ma terra d’incontro... Ma v’è di più. Noi abbiamo sempre pensato che il grande, e ormai quasi millenario movimento verso formazioni politiche sempre più vaste: quel movimento che, dai feudi e dai Comuni medioevali, attraverso i principati, le monarchie, i grandi stati nazionali dell’Ottocento, si orienta oggi - dopo le due guerre mondiali - verso colossali aggregati supernazionali, debba essere integrato da un movimento apparentemente opposto di restaurazione delle storiche entità regionali. Quanto più la grande patria tende a dilatare smisuratamente i propri confini, e quindi a diventare sempre più astratta e meno percepibile dagli individui, tanto più la piccola patria deve sostituirne e rimpiazzarne, con accresciuta intensità, l’inestimabile valore affettivo... Oggi come oggi (e qui sta il valore politico attuale del fenomeno) sia il minore che il maggior termine: sia, cioè, il patriottismo regionale, che il patriottismo federale o europeo, tendono entrambi a ridurre, nel patriottismo nazionale, quell’eccesso nazionalistico, che interessate e sciagurate propagande esasperarono, causando i grandi disastri da cui usciamo sfiniti. Naturalmente occorrerà star bene attenti, noi Italiani, a non rimaner soli su questa via: se no potrebbe succederci quello che, nell’Ottocento, il Tocqueville - ammiratore del federalismo americano temeva per il proprio paese (pur tanto più antico e sicuro, nella propria compagine unitaria, del nostro), nel caso ipotetico di un federalismo francese; il pericolo, cioè, che un federalismo unilaterale, non imitato dai confinanti, procuri, allo Stato che lo tentasse, la sorte del classico vaso di terra in mezzo ai vasi di ferro. (Filippo Burzio) Fermato l’inviato imbroglione Milano. Dopo tre mesi anche Paolo Zappa è stato tratto in arresto. Già addetto all’ufficio parigino de La Stampa, poi inviato speciale e corrispondente di guerra in Russia da dove inviò le più strabilianti panzane sulla situazione dell’esercito russo, infine amministratore del giornale stesso, era fuggito il 27 aprile dopo aver per un mese e mezzo infierito contro un gruppo di operai e di redattori, che era riuscito a far trarre in arresto. Una segnalazione alla questura di Milano permetteva al commissario Petrone di piombare in un alloggio di via Torino 34, di sorprendere lo Zappa mentre stava per recarsi alla stazione per partire alla volta di Voghera e trarlo in arresto. Lo Zappa è stato riconosciuto malgrado avesse affidato a un paio di baffi, lasciati crescere in questo periodo, il compito di mutargli i connotati. Si era anche provveduta una carta d’identità intestata a Emilio Nizzoli che gli è stata trovata nel portafoglio. Il tentativo fatto all’atto della sorpresa di negare la sua vera identità è stato frustrato dal fatto che è stato trovato in possesso di una tessera annonaria del pane intestata a Paolo Zappa. Egli ha dichiarato che da quando le cose della guerra in Grecia cominciarono a svolgersi con quel ritmo trionfale che le direttive del Duce le avevano impresso cominciò ad odiare senz’altro tutta la combriccola che spadroneggiava l’Italia e lo stesso regime mussoliniano. Ha però voluto aggiungere che egli è restato e resta fedele malgrado tutto alle idee e al programma di Mussolini. Paolo Zappa è stato tradotto alle carceri. A cura di Francesco Rigatelli