Marina Cavallieri e Stella Gervaso, la Repubblica 10/8/2012, 10 agosto 2012
SCIMMIE NELLE GABBIE LAGER– E ORSI POLARI SOTTO IL SOLE L?AFFARE DEGLI ZOO FUORILEGGE
TRA finte liane e rocce di cartapesta, in antri umidi o recinti assolati, in stagni dove scarseggia l’acqua, in teche di plastica troppo piccole, vivono migliaia di animali selvatici. Ci sono leoni, tigri, lemuri, scimpanzé, giraffe, boa, coccodrilli, cicogne, cammelli. Vivono in luoghi che si chiamano zoo-safari, parchi natura, acquari, mostre faunistiche, fattorie didattiche, zoomarine, bioparchi. Spesso nomi esotici vengono usati per indicare strutture fatiscenti, recinti polverosi, dove animali alienati si trascinano in movimenti ripetitivi e la natura che vorrebbero evocare è cancellata. Quanti sono gli zoo in Italia? E in che condizioni vivono gli animali che vi sono rinchiusi? Chi ci guadagna? È difficile saperlo, perché sono molte le strutture che continuano a esporre animali senza nessuna licenza, a far pagare un biglietto in regime
di più o meno totale evasione fiscale. È il business degli animali in cattività, dove si possono trovare vecchie famiglie circensi e nuovi imprenditori. Un mondo abbandonato a sé stesso dove nessuno vuole posare lo sguardo perché la merce esposta sono animali ingombranti, spesso pericolosi, che nessuno osa sequestrare, perché, fuori di lì, nessuno saprebbe dove metterli.
«Attualmente sono 88 le strutture che hanno fatto richiesta per avere la licenza di giardini zoologici e 10 le strutture che l’hanno ottenuta. Le altre non sono ancora a norma di legge», spiega Alessandro La Posta del ministero dell’Ambiente. «La prassi è che chi vuole la licenza deve mandare una documentazione, questa viene valutata da una commissione, poi ci sono 18 mesi per mettersi in regola, ma i tempi si dilatano, noi mandiamo solleciti ma non abbiamo risposta». Perché non intervenite? «Il nostro obiettivo è rendere le strutture a norma di legge, non chiuderle, quindi si temporeggia. L’alternativa
sarebbe confiscare gli animali, ma poi dovremmo trovargli una sistemazione e questo ha un
costo. E i soldi non ci sono».
LA LEGGE, UN PASTICCIO ALL’ITALIANA
In Italia la maggior parte delle strutture che si chiamano giardini zoologici non ha ancora l’autorizzazione, in molti casi non sono stati fatti neanche i sopralluoghi. La legge che doveva dare vita ai «nuovi» zoo è diventata un pasticcio all’italiana. Sono passati infatti più di dodici anni dalla direttiva europea del 1999 che invitava gli Stati ad adeguarsi entro il 2002. In Italia la legge già parte in ritardo, viene promulgata nel 2005, l’Unione europea muove critiche, così viene rivista nel 2006, per i decreti attuativi si arriva al 2008. Passano altri quattro anni, ma ancora non si è pronti. «Siamo in fase di avviamento, abbiamo iniziato i controlli dalle strutture che avrebbero dovuto avere meno problemi, ma siamo in una fase di transizione e le norme sono abbastanza ermetiche», ammette Ciro Luongo, responsabile del nucleo investigativo della Forestale. Eppure su alcuni punti la legge è molto chiara. «Per giardino zoologico s’intende qualsiasi struttura pubblica o privata avente carattere permanente aperta al pubblico almeno sette giorni l’anno che mantenga animali vivi di specie selvatiche». Il testo precisa che il giardino zoologico deve partecipare a
ricerche scientifiche, promuovere programmi di educazione e sensibilizzazione in materia di conservazione della biodiversità, mantenere un elevato livello qualitativo nella cura degli animali. Ecco invece cosa succede.
A gennaio i dipendenti dello zoo di Napoli hanno fatto sapere che gli animali non avevano da mangiare. «Non ci sono soldi e il freddo non li aiuta». In passato, nel 2003, era già accaduto che alcuni animali morissero di fame e di sete. Lo zoo di Napoli è un esempio di luogo con animali rimasti ostaggio di una struttura fatiscente, in trappola su un terreno divenuto oggetto di mire immobiliari. Dal punto di vista architettonico è fermo agli anni Quaranta, quando aprì nell’area che doveva celebrare i fasti delle colonie dell’impero fascista e cominciò a ricevere visitatori nei terreni di proprietà della Mostra d’Oltremare di cui è ancora inquilino. Il canone è di 280 mila euro annui: troppi, un costo che ne ha determinato, insieme ad altre cause, il fallimento. Nel pacchetto in liquidazione è finito anche il cinodromo e il parco giochi degli anni Settanta, Edenlandia. Un’azienda unica da 80 dipendenti, di cui 13 allo zoo. La prima chiusura dello zoo risale al 2003, quando la struttura fallì e molti animali morirono di stenti. Ma la struttura continuò a far riprodurre ani-
mali, per esempio i leoni. L’11 ottobre 2011 la sentenza di fallimento, ma oggi è ancora tutto fermo. Lo zoo di Napoli è fuorilegge per almeno l’intero articolo 3 della legge 73 del 2005 e per varie voci dell’allegato. Attualmente sono 300 gli animali detenuti nel giardino zoologico di Fuorigrotta, spesso si fanno collette per dar loro da mangiare.
ZOO SAFARI, MOSTRE, LUNA PARK: LE STRUTTURE IBRIDE
Il 3 febbraio è stata sequestrata un’intera struttura in provincia di Pescara, Le Rupe. Giaguari, leoni, tigri, puma, gatti selvatici, linci, bertucce, canguri, coccodrilli, caimani, boa ed iguane, tutti sotto sequestro. Per le condizioni in cui erano il coccodrillo nano e i due caimani, è scattata la denuncia di maltrattamenti. È raro però che uno zoo venga chiuso. La consuetudine vuole che anche dopo controlli e sanzioni resti aperto e gli animali affidati ai proprietari colpevoli. Ad Aprilia c’è lo «Zoo delle star» di Daniel Berquiny, i suoi animali sono utilizzati
per spot e film. Normalmente però vivono in recinti dove non sono rispettate le più elementari indicazioni della legge, i piccoli canguri abituati ad aree boscose vivono in spazi angusti e si riparano in cucce per cani, i macachi non si vedono: quanti sono? Uno? Due? Sono chiusi e si sentono le urla. Un dossier della Lav elenca molti di questi luoghi senza diritti né legge, aziende che vivono esponendo animali, spesso in regime totale di evasione fiscale o senza rispettare le norme. Il Safari Park d’Abruzzo, dove gli animali convivono con un luna park. Lo zoo di Poppi di Arezzo, più volte segnalato dai visitatori. Il Safari Park di Fasano che attira migliaia di visitatori. O le fattorie didattiche che non dovrebbero avere animali pericolosi e invece tengono le tigri che fanno anche riprodurre, come l’Oasi di Cassano Magnago. L’elenco è lungo. In tutti questi casi dove sono i progetti scientifici e di educazione, l’alta qualità di vita degli animali?
Ma in Italia non ci sono solo quelli che si dichiarano giardini zoologici senza esserlo. Ci sono anche acquari, rettilari, negozi e circhi che espongono animali, dove oltre al leone c’è il tirassegno e con la tigre il barbecue, vicino al piccolo squalo i souvenir. Ci sono le mostre faunistiche, una definizione che permette di aggirare la legge. «Chi ritiene di allestire una mostra, e quindi non uno zoo, può non adeguarsi
alla legge, deve però chiedere l’esenzione»
racconta Ciro Luongo. «Finora una trentina hanno presentato documenti, le altre no. Come ci comportiamo? A volte è difficile anche per noi, la legge di fatto rimanda a valutazioni discrezionali». Una legge a maglie larghe, che per di più non è applicata. «La legge è stata un fallimento, ed è stata più volte manomessa sempre però a favore degli zoo», commenta l’agenzia Geapress, che si occupa di temi ambientalisti. «Sono stati scardinati i concetti base, tra cui quello sui tempi di rilascio della licenza e di adeguamento alle norme». Licenza che di fatto non conosce scadenza.
GLI ORANGHI DEL BIOPARCO
Martina, Petronilla e Zoe, sono sedute, lo sguardo rivolto verso il vetro alla ricerca di un contatto con chi si ferma davanti. Sembrano depresse, ma chi se ne occupa dice che gli oranghi sono così, un po’ pigri. È un giorno come un altro al Bioparco di Roma. Gli oranghi da dieci anni sono chiusi in uno
spazio ristretto, visibilmente inadeguato, in attesa di una struttura migliore, per loro più volte sono stati fatti appelli, ma inutilmente. Gli oranghi, come tutti gli altri animali che vivono nello zoo della Capitale, sono proprietà del Comune di Roma, il sindaco ne risponde. Il Bioparco è infatti in tutta Italia l’unica struttura pubblica, gestita da una Fondazione il cui presidente è eletto direttamente dal sindaco. Lo zoo di Roma nasce nel 1911 e nel 1917 fallisce per la prima volta. Gli anni passano, gli animali vengono trasferiti dalle gabbie ai recinti e si arriva agli anni 90, quando l’allora sindaco Francesco Rutelli assume l’impegno elettorale di estinguere la struttura di Villa Borghese. In realtà non viene chiusa, c’è una riconversione e nasce il Bioparco s.p.a. nel 1997, soci il Comune di Roma (51%), una società del Gruppo Costa ed il Gruppo Cecchi Gori. «Nel 1998 abbiamo trovato questi animali in gabbie strettissime a contatto diretto con il pubblico», spiega Fulvio Fraticelli, direttore scientifico. «Eravamo
arrivati all’assurdo che gli animali fumavano le sigarette che gli venivano offerte. Gli oranghi era impossibile reinserirli in natura. Per loro nel 2000 abbiamo trovato questo spazio che doveva essere provvisorio». Doveva durare poco, ma i lavori per una nuova casa sono cominciati solo un anno fa. Poi, durante la costruzione, i lavori si sono interrotti per problemi sollevati dalla Sovrintendenza delle Belle Arti. «Non ci sono stati i soldi per tirare fuori gli oranghi da quel buco, però hanno costruito il ristorante», denuncia la Lav. Anche il Bioparco, che ha 700 mila visitatori l’anno, un bilancio di 7 milioni compreso un contributo del comune di 2 milioni e mezzo, per una serie di veti posti dal ministero della Salute, non ha la licenza.
MA GLI ZOO HANNO ANCORA UN SENSO?
Oggi alcuni zoo tentano il salto di qualità, vanno a caccia di investimenti per diventare parchinatura o luoghi d’intrattenimento più moderni.
Ma ha senso che sopravvivano? La tradizione ottocentesca di esporre animali ha ragione di esistere? «Gli zoo sono un retaggio del passato, allevare animali esotici in cattività non c’entra con la tutela della biodiversità, che invece andrebbe sostenuta nei luoghi d’origine», sostiene Nadia Masutti della Lav. «È vero che ci sono strutture che andrebbero chiuse e che danneggiano anche noi», risponde Gloria Svampa della Uiza, associazione che raccoglie dodici zoo. «Però il rapporto con un animale vivo, il contatto, ispira un senso di amore, d’interesse per la natura ineguagliato. Gli animali che custodiamo possono aiutarci nella conservazione delle specie e a creare una coscienza ambientale ».
Alberto Avesani, direttore di Parco Natura Viva vicino a Verona, 1300 animali, 450 mila visite l’anno: «Nei confronti di questi animali c’è stata la totale abdicazione dello Stato, una dismissione di responsabilità. Eppure gli zoo dovrebbero diventare come delle grandi arche di Noè dove mettere in salvo specie in estinzione». Ma perché non la legge non viene applicata, non ci sono controlli? «L’applicazione di questa legge non segue criteri d’urgenza», rispondono al ministero dell’Ambiente. «Il problema vero — aggiungono — è che di questi animali non frega niente a nessuno».