Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 10 Venerdì calendario

LA TRINCEA DI MONTI “CE LA FAREMO DA SOLI”

È un pomeriggio di tensione quello vissuto nelle stanze del governo dopo l’allarme lanciato dalla Bce sul rischio insolvenza delle imprese con conseguenti ripercussioni in capo al sistema bancario.
CON una serie di contatti tra i ministeri economici e Bankitalia si cerca di contenere la notizia. Per dare la spiegazione ad un allarme ritenuto «eccessivo » si studiano i criteri che hanno portato l’Eurotower ad una affermazione tanto drastica sul nostro tessuto imprenditoriale. E viene fuori che l’indicatore utilizzato da Francoforte arriva da Moody’s, che tra i criteri di valutazione usa anche l’andamento dei mercati. Che con la loro «volatilità » hanno «inquinato e gonfiato » il dato.
Certo, se l’allarme si ridimensiona la situazione non è delle migliori. E nel governo lo si ammette: «È vero che la crisi sta facendo aumentare i fallimenti deteriorando anche le banche». Ma si parla di un livello di rischio lontano da quello che all’inizio degli anni ‘90 sconquassò il Paese, anche perché oggi il problema deriva più dalla difficoltà ad ottenere prestiti. E tra governo e Bankitalia si cerca anche di rassicurare sul fatto che, ad ogni modo, il sistema del credito non è in pericolo. Per dirla con un uomo di governo, «non siamo mica la Spagna».
La lettura del bollettino della Bce ha però rafforzato la convinzione
del premier e dei suoi ministri che «l’Italia deve farcela da sola, senza chiedere un aiuto europeo ». Di questo si parla negli ultimi giorni. Lo testimonia il ministro Profumo, che a Bloomberg dice: «Nel governo ci sono state lunghe discussioni sull’eventualità di chiedere l’intervento dello scudo anti-spread». Frase poi smentita, ma che rivela la tensione che si respira tra Palazzo Chigi, Tesoro e gli altri palazzi romani. Così Monti cerca di accelerare. Al Consiglio dei ministri di oggi ci sarà un brainstorming sulle nuove riforme da fare in autunno. Per provare a farcela da soli. O - in caso
di doversi rassegnare alla richiesta di aiuto europeo sugli spread - per limitare i rischi di colpo di mano sui sacrifici richiesti in cambio dell’intervento, dimostrando che il Paese è già proiettato
su nuove riforme. Monti del programma di autunno ha parlato ai leader della «strana maggioranza » (ieri ha sentito Bersani dopo aver visto mercoledì Alfano e Casini). E tra oggi e il Cdm del 24
agosto intende stilare una road map da portare in Europa.
Oltretutto è vero che ieri la Bce ha confermato di essere pronta a «misure non convenzionali» per abbattere gli spread dei Paesi in difficoltà, ma ha anche ribadito che il suo intervento sarà subordinato alla richiesta di aiuti al fondo Efsf, ovvero alla firma di un «memorandum » in Europa. Un percorso pieno di rischi che probabilmente in autunno dominerà i media europei. A fare da apripista, a settembre, potrebbe essere la Spagna. L’Italia farà di tutto per evitare di seguire a ruota. I rischi si annidano nei tecnicismi delle regole per l’aiuto scritte a Bruxelles. È vero che al summit di giugno Monti ha ottenuto la creazione dello scudo anti-spread, ovvero l’utilizzo del fondo salva-Stati (Efsf- Esm) per comprare i titoli di Stato in modo da abbassare i tassi di rifinanziamento. Evitando così l’imposizione di un memorandum lacrime e sangue monitorato dalla Troika come quello firmato da Atene.
L’Italia ha tutte le carte in regola ottenere questo programma «soft», ma alla fine la scelta di accontentarsi della certificazione di avere fatto le riforme e dell’impegno a proseguirle sarà anche politica. Basti pensare che ogni memorandum
dovrà essere votato anche dai governi dell’eurozona e soprattutto dai Parlamenti di Germania, Olanda, Finlandia e Austria. Il covo dei rigoristi. E qui si rischia il colpo di mano, con i partner che potrebbero cercare di imporre programmi ben più duri, con tanto di nuovi sacrifici e una Troika se non alla greca comunque in grado di limitare la sovranità nazionale. Dunque meglio farcela da soli. Dipenderà dalle misure del governo, ma soprattutto dai mercati (in questi giorni positivi), dall’andamento delle aste di settembre e dalla sorte di Grecia e Spagna. Sarà la «battaglia
d’autunno».