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 2012  agosto 10 Venerdì calendario

CHE SCOPERTA LA POLITICA


Paola Severino affronta un colloq uio in cui ha accettato di parlare anche di sé con la stessa vigile compostezza con cui dal novembre scorso fa il ministro della Giustizia. Controlla le parole, tiene a bada le sbavature, aspetta al varco i piccoli agguati del linguaggio e delle emozioni per riportarli al servizio del suo argomentare. L’esercizio forense che ne ha fatto uno dei più illustri penalisti italiani le torna evidentemente utile in ogni aspetto di questa sua avventura pubblica, non cercata ma accettata con quello che lei chiama «spirito di servizio». Ascoltando questa sobria signora che parlerà con sorvegliata naturalezza anche della malattia che l’ha privata del braccio destro, si ha l’impressione che, con lei, la politica abbia fatto un acquisto importante. Anche se proprio la politica qualche volta l’ha stupita e spiazzata. Ma non certo scoraggiata.
A nove mesi dal primo impatto come si trova in questo suo ruolo di governo?
«Un po’ più a mio agio. La cosa difficile non è stata imparare a muoversi in un ministero, dove le regole non sono in fondo diverse da quelle di un grandissimo studio legale, ma in Parlamento. La politica vista dall’interno è una scoperta».
Che cosa si scopre?
«Per esempio che tra i due rami del Parlamento c’è un forte senso di autonomia e che aver discusso a lungo un provvedimento alla Camera non vuol dire aver portato a casa metà del risultato, ma ricominciare lo stesso lavoro al Senato. Mi ci sono scottata quasi subito».
La politica ha anche il suo fascino. Davvero non lo subisce?
«Non innamorarmi del potere è uno dei principi a cui ho ispirato la mia vita, perché se poi viene meno ci si sta male. E io voglio mantenere intatto il mio equilibrio».
Il potere permette però anche di fare le cose. Lei per esempio è da sempre una decisa garantista. Come mai non ha affrontato uno dei temi che da avvocato considerava prioritari, come la separazione delle carriere?
«Perché sono realista e non vado dietro ai sogni. Ho privilegiato quelle materie sulle quali si poteva ottenere un risultato, come la revisione della geografia giudiziaria».
Quella che ha definito «riforma epocale»?
«Lo so, a qualcuno è sembrato un segno di arroganza, ma serviva a segnalare che abbiamo fatto un passaggio dall’epoca in cui si andava in tribunale in carrozza a quella in cui si usano le autostrade. Noi puntiamo addirittura al processo telematico, con tutta l’attenzione a mantenere le garanzie».
Intanto sembra impegnata a fare prestissimo su intercettazioni e anti-corruzione.
«Questo è un punto su cui si sono scritte cose confuse e vorrei fare chiarezza. Entrambi i provvedimenti sono all’esame delle Camere da oltre due anni. La lotta alla corruzione è una priorità del governo, perché solo un’efficace azione in linea con quanto ci viene richiesto a livello internazionale consentirà all’Italia di riconquistare la fiducia degli investitori esteri. Il presidente Monti lo ha detto più volte. È per questo che abbiamo aggiornato un disegno di legge che confido sia presto approvato anche dal Senato».
Altrimenti niente intercettazioni?
«Non ho mai detto né pensato di condizionare le due cose. Il provvedimento sulle intercettazioni era fermo alla Camera dal luglio 2010 ed è stato rimesso in calendario circa due mesi fa, anche se non è ancora stato esaminato».
Comunque qualcuno sospetta che lei abbia accelerato un nuovo testo dopo le intercettazioni che hanno coinvolto il Quirinale.
«È un sospetto infondato, come anche le date dimostrano. Vorrei sgombrare il campo da qualsiasi dubbio: la questione delle intercettazioni del capo dello Stato sarà esaminata e risolta dalla Corte costituzionale. Per quanto invece riguarda la normativa comune, quando il provvedimento arriverà alla Camera saremo pronti, tenendo comunque conto che su alcuni punti i due rami del Parlamento si sono espressi con votazioni identiche che potrebbero renderli immodificabili. Una volta sciolto questo nodo, il governo si assumerà le proprie responsabilità, presentando una proposta integrativa. Spero di essere stata chiara».
Chiarissima, ma non appassionata. È su altri punti del suo lavoro che le brillano gli occhi.
«Quali sarebbero?».
Le carceri. Nessun ministro della Giustizia ha mai fatto tante visite negli istituti di pena, nessuno è mai stato tanto applaudito a Poggioreale, a San Vittore, a Regina Coeli.
«È un problema che mi sta molto a cuore. Già da avvocato avevo avuto esperienza di questi gironi infernali proprio nel carcere di Poggioreale, ma appena nominata ministro, in quello di Cagliari, dove ero andata a capire le dinamiche di un suicidio, un detenuto mi ha dato una lettera. Per me è stata una svolta».
Perché?
«Non l’avevo letta subito, ma mentre preparavo il discorso che avrei fatto a Rebibbia davanti al Papa, mi è stranamente rispuntata da una tasca. C’era tanta umanità nuda e sofferente in quella lettera che ho rinunciato al mio discorso e l’ho letta pubblicamente. Ogni volta che i detenuti mi applaudono mi sento in colpa per quell’applauso».
Pensa di non aver fatto abbastanza?
«Il possibile, per ora. Quasi 2 mila posti in più con i nuovi padiglioni, 3 mila detenuti in meno con le sliding doors e altri 2 mila con gli arresti domiciliari. Ma continuerò a lavorare per loro».
Anche con un’amnistia, come chiedono i radicali?
«Un ministro non ha il potere di fare un’amnistia, che è materia parlamentare e va approvata con una maggioranza dei due terzi. Quindi sarei scorretta se le rispondessi in un senso o nell’altro».
Parliamo allora dei suoi primati. Lei è stata la prima donna in una cattedra di diritto privato, la prima donna con una carica al Consiglio superiore della magistratura militare, la prima donna contribuente nel 1998 con tre miliardi e mezzo di lire, la prima donna Guardasigilli... Sembra un manifesto dell’emancipazione femminile.
«Sono partita pensando di fare il magistrato, come mio padre, e le varie occasioni mi sono capitate senza che puntassi a ottenerle. Però sono stata anche una prima figlia. Forse tutto nasce da lì».
È stato faticoso essere una primogenita?
«Sì, ma è anche bello. Sono stata molto responsabilizzata dai miei genitori. Quando, a nove anni, ho letto "Incompreso" di Montgomery Florence dove c’è un primogenito che si sente trascurato in favore del fratellino, mi sono immedesimata e ho pianto tutte le mie lacrime. E da allora leggo soltanto libri che mi trascinano dentro un sentimento».
Ormai però è da tempo moglie e madre.
«Aggiunga pure nonna. Ho una figlia, tre meravigliosi nipoti e un marito con il quale sono felicemente sposata da quasi quarant’anni».
Anche questo è un record. Come ha fatto?
«Con l’accortezza di condividere tutto: pensieri e cose. Entrambi abbiamo avuto dei successi che non ci aspettavamo, ma non siamo cambiati. Abbiamo gli stessi amici che frequentavamo quando, da giovani sposi, mettevamo da parte 50 mila lire al mese per una barca a vela che in parte ci siamo costruiti da soli in kit».
Oggi lei ha la possibilità di comprarsi un panfilo in contanti, se vuole.
«Ma non è il mio obiettivo nella vita. Al fondo io aspiro soltanto a continuare a vivere serenamente. Sono ricca per merito e non per privilegio. E ho sempre considerato il denaro un mezzo e non un fine. Tanto è vero che sono stati proprio i miei risparmi di avvocato a permettermi di lasciare lo studio per questa avventura di governo».
La sua serenità è evidente, ministro, anche nel modo con cui vive l’assenza del suo braccio destro. Vuole parlarne?
«È l’esito di una malattia che ho affrontato bene grazie all’appoggio della mia famiglia. E poi, mi creda, convivere con un handicap è molto più facile di quanto si pensi. Ho incontrato tante persone che proprio nella malattia, nel disagio fisico, hanno scoperto una forza interiore che non sapevano di possedere. Io ne ho tratto un grande amore per la vita e quella tenacia, che è uno dei pochi tratti non innati, ma acquisiti, del mio carattere».
È stato difficile diventare mancina da adulta?
«Non è stato facile, specialmente nei primi tempi quando dovevo prendere appunti all’università. Ma poi si impara a giocare a tennis, a nuotare, a fare tutto. Sono riuscita persino a fasciare mia figlia neonata. Questo handicap non mi ha tolto niente della vita».
Neanche l’allegria di fare l’attrice, a quanto si sa.
«Si riferisce alle messe in scena dei processi ai grandi della storia? Sì, è divertente fare in teatro l’avvocato difensore di personaggi come Galileo Galilei, Giulio Cesare, Ulisse. Ho perso per pochi voti soltanto con Charlotte Corday ma lì il pubblico ministero era Antonio Di Pietro».
Dove ha imparato a recitare?
«Ho il gusto di parlare in pubblico e tante ore di arringhe mi hanno ben allenato. Però quando sono dovuta intervenire davanti al Parlamento ho provato una forte emozione. Sentirsi un rappresentante dello Stato cambia la prospettiva».
Mi sta dicendo che potrebbe restare in politica?
«Assolutamente no. Assolverò il mio incarico fino alla primavera del 2013 e poi tornerò al lavoro che amo e che spero di riprendere con lo stesso entusiasmo di prima».
E se si appellassero nuovamente al suo spirito di servizio?
«Risponderei di averne dato già prova».