Alessandra Nucci, Italia Oggi 8/8/2012, 8 agosto 2012
TROPPE TASSE, ADDIO ALLO ZIO SAM
Dal 2009 c’è stata un’impennata nel numero di americani che rinunciano al passaporto o al permesso di residenza permanente in Usa per trasferirsi altrove. Ciò viene attribuito generalmente al timore dell’aumento delle tasse allo scadere delle attuali tariffe, previsto per la fine di quest’anno.
Nel primo quadrimestre del 2012 gli espatri sono stati 460; in tutto l’anno scorso 1.800, sei volte il numero dei fuoriusciti del 2008: un aumento che riflette la spinta recente a far rispettare le leggi fiscali sui conti all’estero.
Solo nell’ultimo quadrimestre si è registrata una diminuzione nel numero delle persone che hanno dato un calcio alla cittadinanza Usa.
Pubblicato dal Wall Street Journal, l’elenco comprende 189 nomi in tutto, poco meno di un terzo di quanti se ne erano andati nello stesso periodo del 2011 (520). Tale contrazione si potrebbe spiegare col fatto che gli americani decisi ad andarsene lo avessero già fatto negli ultimi anni.
Gli Stati Uniti tassano il reddito dei cittadini e dei residenti ovunque si produca nel mondo. In questo caso lo ius soli, che dà la cittadinanza a chiunque nasca su suolo americano, anche se per caso, può essere una complicazione. Ci possono essere cioè cittadini che non si considerano americani, ma risultano ugualmente debitori del fisco a stelle e strisce.
L’inasprimento dei controlli fiscali ha ricevuto nuovo impulso dal tentativo della banca svizzera Ubs e di altri enti offshore di adescare i contribuenti americani invitandoli a nascondere i soldi da loro. Le penalità per chi nasconde un conto all’estero sono diventate draconiane, fino al punto di prosciugare un conto.
Andarsene legalmente non è facile. Bisogna provare di aver pagato le tasse negli ultimi cinque anni e, per chi ha un patrimonio che supera l’equivalente di 1,6 milioni di euro o un reddito annuo per i precedenti cinque anni di 121 mila euro, c’è anche una tassa di espatrio, con una franchigia di circa 520 mila euro.
Alcuni parlamentari hanno presentato proposte di legge per irrigidire queste e altre penalità. Inoltre, può essere difficile, dopo, ritornare negli Usa a frequenze regolari. Chi se ne va deve guardarsi dal dare la colpa alle troppe tasse, perché questo potrebbe mettere a repentaglio la possibilità di rientrare nel paese, anche per diversi anni.
Oltre 80 nomi della lista più recente sono cinesi. Uno dei motivi è di ordine fiscale. L’aliquota massima a Hong Kong è del 15%, non ci sono tasse sui capital gain, sui dividendi o sui patrimoni, e neanche sui redditi all’estero finché non si fanno rientrare.
Intervistato dal Wsj, Robert Loughran, avvocato specializzato in immigrazione, spiega che molti «amerocinesi» sono attirati dalla nuova stabilità politica della Cina, mentre altri sono «internazionalisti» e temono le interpretazioni espansive delle nuove leggi Usa sullo spionaggio industriale o sui rapporti con paesi soggetti a embargo. Ma è massiccio anche il numero di cinesi in entrata.
«I movimenti in entrata e in uscita dalla Cina sono di gran lunga i più numerosi rispetto a tutti gli altri paesi. Chi arriva dalla Cina è attirato dalla stabilità del paese e dalla possibilità per i propri figli di andare a scuola qui», dice Loughran.
Fra gli espatriati, la principessa Elisabetta di Iugoslavia, attivista dei diritti umani, ex candidata alla presidenza della Serbia e madre dell’attrice Catherine Oxenberg. La nobildonna è tornata a vivere a Belgrado, per motivi sentimentali, ovvero «per tornare a casa».
Un caso che può risuonare nei petti dei contribuenti italiani è quello dell’architetto e pittore britannico Gunter Paul Pueschel. Quest’ultimo ha tagliato i ponti con gli Usa perché frustrato dalla burocrazia generata dalla massa di nuove leggi sui conti offshore. Pueschel, diventato cittadino americano con i genitori immigrati nel 1949, abitava a Londra da oltre trent’anni, ma continuava a pagare le tasse in Usa, compilando i moduli da sé. Negli ultimi anni tuttavia era diventato talmente complesso fare la denuncia dei redditi che Pueschel era costretto a pagare profumatamente un commercialista, nonostante non avesse tasse da pagare. A fine 2011 ha detto basta.