Marco Albino Ferrari, la Stampa 8/8/2012, 8 agosto 2012
LE VIDEOTRAPPOLE CHE CATTURANO I SEGRETI DEL BRANCO
La quattro per quattro sale lenta sulla strada ripida. È passata da poco l’alba. Un’alba gelida di inizio marzo. Alla guida sta Paolo Forconi. Al suo fianco siede Massimo Dell’Orso. I primi raggi del sole devono ancora spuntare dietro le creste imbiancate di neve. Paolo e Massimo sono due consulenti del Parco dei Monti Sibillini, e sono tra i più abili «video-trappolisti» in circolazione, capaci di applicare una tecnica moderna sorprendente e fondamentale per i censimenti dei lupi.
Intorno agli ottocento metri di quota la neve sulla strada aumenta, e ci si rende conto che avanzare in auto non è più possibile. Paolo spegne il motore. E senza dire una parola tutti scendiamo. La videotrappola che dobbiamo recuperare, mi spiegano, è stata posta a una mezzoretta di cammino, sul costone della montagna dove passano i lupi.
Quando a r r i v i a m o, Massimo e Paolo si dirigono verso un faggio maestoso nella posizione più marginale di uno slargo. Sulle prime non vedo niente, questo luogo è uguale a ogni altro luogo del bosco. Ma quando i due si accovacciano nel punto voluto, ecco che emerge all’improvviso l’oggetto di plastica color verde e nero, delle dimensioni di un pacchetto di sigarette, fissato con una cordicella a un tronco.
Non l’avrei mai potuta trovare. All’interno della scatoletta si trova una videocamera, attivata da un sensore: basta che un animale passi nel cono d’azione e parte la registrazione. «Vieni, che vediamo insieme».
Ci accovacciamo davanti a un computer portatile proprio nel punto dove è stato montato l’occhio della piccola telecamera, così da avere di fronte a noi, dal vivo, la sessa inquadra-
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tura che stiamo per osservare nelle registrazioni. Massimo si schiarisce la voce, Paolo stringe le labbra. Si capisce che anche per loro sta arrivando un momento cruciale del lavoro.
Il lupo era passato di lì? E se sì, quale componente del branco? Qualcuno, nel frattempo, è andato in dispersione? È morto? La situazione che stiamo vivendo ha un che di magico. Siamo di fronte al luogo delle scene di un film di animali, con sequenze che presentano un campionario sorprendente, disordinato e imprevedibile di fauna del bosco.
Paolo clicca sul tasto «on». E il programma parte. «26 febbraio, ore 08,52 e 34 secondi», annuncia come un ciak una scritta gialla prima che parta il video inaugurale. Ed ecco che appare un topolino intento ad annusare il terreno. Si aggira lì di fronte, muovendosi a scatti. Fa un giro su se stesso e trotterellando sparisce dietro un albero.
«27 febbraio, ore 16,30 e 01». C’è vento: vibrano le foglie nel sottobosco. Entra sulla scena un bestione, che subito, visto da dietro non riconosco. È un cinghiale. Passa con il muso radente al terreno offrendo alla telecamera il posteriore peloso.
«28 febbraio, ore 07,06 e 15». L’inquadratura svela che nel frattempo è caduta la neve. Si sente un lontano guaito, e poi è lui ad entrare in scena: il lupo. Ne arriva uno, poi un altro, e un altro ancora. «Eccoli», esclama Massimo di fronte computer. Alla fine sono in sei. Si fermano sullo spiazzo come se volessero concedersi una pausa nella luce dell’alba. Alcuni rimangono seduti, altri camminano intorno compiendo giri concentrici. A un certo punto, il lupo seduto si gira di scatto e se ne va, seguito dal resto del gruppo come in un rituale preciso. Quello doveva essere il maschio alfa.
La gerarchia nel branco, mi spiega Massimo, è ferrea, e attraverso una serie di azioni i lupi affermano il proprio rango, di dominanti o di sottomessi. Quando il maschio alfa parte tutti lo seguono in buon ordine.
«Ecco, guarda! Vedi come il lupo che se ne va passa con il collo sopra il muso dell’altro: quello è un segno di supremazia. Ogni volta che un sottomesso passa davanti al lupo alfa deve riconoscergli il suo status di leader».
In ogni branco domina un maschio alfa e una femmina alfa, gli unici che si riproducono. E poi via via nella scala gerarchica si susseguono i dominati, fino all’ultimo, il lupo omega, il bersaglio di tutti, destinato a morire prima degli altri o a prendere la via dell’esilio.
La struttura sociale si poggia su una comunicazione costante tra i componenti. Per questo esiste un vero e proprio linguaggio: con la coda, attraverso la mimica del muso e del corpo. Poi c’è il linguaggio sonoro con ringhi, ululati, guaiti, latrati, uggiolii: si comunica intimidazione, paura, attacco, riposo. A volte il maschio alfa mostra un canino, e tutti si mettono in riga. È lui, nel gioco delle inibizioni, a tenere disciplina nel territorio.
La vastità del territorio di ogni branco dipende dalla densità di prede: più ricca è la montagna, minore è la superficie del territorio di un branco. Un territorio (che qui sui Sibillini è di circa 150 kmq) va visto come una rete di percorsi che i lupi battono periodicamente. Al centro si trova un punto cruciale, il sito rendez-vous, dove i componenti si rincontrano, si riposano e da cui partono per le battute di caccia riunendosi, prima di avviarsi, nel rito dell’ululato che aumenta l’eccitazione e aumenta la forza nel gruppo.
Nel momento che precede la partenza, la coppia alfa fronteggia il resto degli altri e ulula e osserva i diversi componenti, e li guarda negli occhi. Fin quando tace, si gira e parte trotterellando con il branco dietro. Quello è il momento della caccia.
E io, di fronte al computer, mi concentro sull’esemplare più grosso. È lungo all’incirca come un uomo sdraiato: 130 centimetri, più la coda di 35. Ed è alto una settantina di centimetri al garrese. Il cranio è grande, ben più grande di quello di un cane pastore tedesco, ed è sorretto da un collo massiccio. Ha orecchi corti. E la dentatura impressionante: i canini superiori sono lunghi come un mignolo della mano. E poi gli occhi – gli occhi, la parte del corpo che più lo contraddistingue – sono ampi, espressivi, gialli, luminosi. E sono posizionati verso la parte frontale della testa con una leggera inclinazione verso il basso.
Eccolo lì, il lupo, finalmente. Lo osservo sullo schermo come fosse un fantasma, cercandolo lì di fronte allo spiazzo vuoto dove era stato qualche giorno fa. E tento di fissare il più possibile la sua immagine nella memoria. Quando ci sarà ancora occasione di incontrarlo?