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 2012  agosto 07 Martedì calendario

IL ROBOT SU MARTE CHE FA SOGNARE IL MONDO

Erano le 22.32 (7.32 di ieri, in Italia) al centro di controllo del Jet Propulsion Laboratory della NASA e la dissimulata normalità si trasformava nel tripudio incontrollato di una vittoria finalmente conquistata. Il Mars Science Laboratory, il vero nome del rover Curiosity, si era adagiato sul suolo marziano. Alla gioia dei tecnici si univa il presidente Obama: «Congratulazioni e grazie».
«Curiosity è in una gradevole pianura marziana. È incredibile». Sono piene di stupore le parole di Al Chen, l’ingegnere della missione che ha scandito i passi dell’arrivo su Marte del rover più robotizzato, complicato e grande come un Suv che la Nasa abbia mai mandato sul vicino pianeta. Erano le 22.32 (7.32 di ieri, in Italia) al centro di controllo del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) e la dissimulata normalità e la tranquilla freddezza si trasformavano nel tripudio incontrollato di una vittoria olimpica a lungo preparata e finalmente conquistata. Nulla era stato lasciato al caso, nemmeno la tradizionale distribuzione di noccioline ai controllori della spedizione che dal 1964 anticipa il fatidico momento finale. Scaramanzia? «No, tradizione da non dimenticare contro la tensione. Qui siamo sul bastione della logica e della ragione», smentiva Chen. E quando è giunto dal Pianeta rosso il segnale atteso dello sbarco avvenuto nessuno più controllava le emozioni. «Mio Dio», si sentiva dal fondo. «È tutto vero», aggiungeva un altro. Nelle tre file di computer azzurri immerse in una stanza vetrata come un acquario, le grida sopravanzavano le parole, i baci e gli abbracci riportavano la spontaneità frenata dai timori di un disastro che per Marte è sempre dietro l’angolo. «Sbarcare lassù è un mestiere tremendamente difficile: basta guardare l’elenco dei fallimenti; 24 su 40 spedizioni americane e russe sono finite male». Ma queste erano le parole di precauzione della vigilia. Ora c’era un record ineguagliato. Il Mars Science Laboratory, il vero nome del rover, costato 2,5 miliardi di dollari e dieci anni di lavoro di cinquemila scienziati e ingegneri è pronto per affrontare una sfida mai tentata per cercare le condizioni di una vita passata fuori dalla Terra.
Mai entusiasmo e consapevolezza di una grande impresa si erano fuse con tanta partecipazione, quasi per contrastare le incertezze di una crisi dalla quale l’America non si sente ancora al riparo. Non a caso il primo a commentare il successo è stato il presidente Barak Obama: «Congratulazioni e grazie a tutti gli uomini e donne della Nasa che hanno reso lo straordinario obiettivo una realtà. Questo dimostra che anche le cose più difficili non resistono al nostro mix unico di ingegno e determinazione. Il risultato ci ricorda la nostra supremazia non soltanto nello spazio ma anche sulla Terra che dipende da continui investimenti e innovazione, tecnologia e ricerca che hanno sempre reso la nostra economia motivo di invidia per tutto il mondo».
«Se qualcuno aveva dubbi della supremazia americana, questa è la risposta», affermava seriamente John Holdren, capo dell’Ufficio scientifico alla Casa Bianca. «È un incredibile trionfo tecnologico — ribadiva l’amministratore della Nasa Charles Bolden — riuscire ad arrivare con la precisione dimostrata. Oggi è un grande giorno per la Nazione, per tutti coloro che hanno collaborato all’impresa, per l’intero popolo americano»; tutti ad applaudire con gli occhi brillanti per la commozione. «Le immagini che arrivano dal Pianeta rosso costano soltanto sette dollari per ogni cittadino americano — aggiungeva Charles Elachi, direttore del Jpl creatore dell’impresa —. Adesso aprono una straordinaria stagione di ricerca marziana».
L’esattezza con la quale il rover è giunto nel cratere Crater sperimentando per la prima volta una tecnica da fantascienza (la sonda galleggiava nell’aria marziana mentre calava con funi di nylon il Suv-laboratorio e poi volava via) dava il grado delle straordinarie capacità raggiunte. Le ultime correzioni della traiettoria erano state cancellate perché era perfetta. Il tuffo nell’atmosfera che dava inizio ai «sette minuti di terrore», così battezzati alla Nasa per significare il rischio, era governato dai computer di bordo fino ad appoggiare il veicolo al momento stabilito sul pianeta distante 248 milioni di chilometri. Qui al Jpl di Pasadena (dove tra gli ospiti c’erano alcuni attori di Star Trek) i super-ingegneri assistevano alle meraviglie del robot volante che agiva in piena autonomia. E appena arrivato dopo soli due minuti, trasmetteva la prima fotografia della sua ombra e dei sassi intorno. «Ecco la curiosità americana», ricordava Elachi.
Giovanni Caprara