Sergio Bocconi, Corriere della Sera 05/08/2012, 5 agosto 2012
AMBROSIANO, I DIARI DI CIAMPI E QUEL NO DI COMIT E CREDIT —
«Trent’anni dopo, e soprattutto nell’era post Lehman, pur con attenzione a tutte le differenze fra i casi possiamo ben dire che la scelta a favore della stabilità che ha portato alla costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano ha pagato e paga ancora, considerato che dalle ceneri del crac è nato e si è sviluppato uno degli istituti di credito leader in Italia».
Carlo Bellavite Pellegrini, docente di Finanza aziendale alla Cattolica di Milano, ha ormai ultimato il suo secondo libro sulla storia della banca che fu portata alla rovina da Roberto Calvi e risanata da Giovanni Bazoli. Il titolo provvisorio del volume che sarà pubblicato a settembre dal Mulino («Una storia italiana, dal Banco Ambrosiano a Banca Intesa») contiene in sé una valutazione della lunga story che ha attraversato quella del nostro Paese, riflettendone vizi e virtù. E che ha appunto il momento di svolta fra il 6 e il 9 agosto 1982, il weekend del «miracolo» che ha visto la messa in liquidazione dell’ex «Banco dei preti» e il passaggio di parte degli asset al Nuovo banco ambrosiano.
Le sette banche
Una storia che viene raccontata nel nuovo volume di Bellavite Pellegrini (il primo, «Storia del Banco ambrosiano» è del 2001) anche attraverso una testimonianza d’eccezione: i diari di Carlo Azeglio Ciampi, ai tempi governatore di Bankitalia e successivamente premier, ministro e presidente della Repubblica. Una raccolta inedita di ricordi, appunti e annotazioni che consente di conoscere meglio e da molto vicino una delle più complesse e misteriose vicende della finanza italiana. Con alcune autentiche rivelazioni. Una delle quali riguarda appunto il faticoso cammino che ha portato alla costituzione del Nuovo banco guidato da Bazoli grazie all’intervento di sette istituti, quattro privati (San Paolo di Brescia, Popolare di Milano, Credem e Romagnolo) e tre pubblici (Bnl, San Paolo di Torino e Imi), «persuasi» da Ciampi e dal ministro del Tesoro Beniamino Andreatta a partecipare a quell’operazione che, di fatto, è stata la prima di «sistema» nel corso del Dopoguerra: il Banco di Calvi era una delle maggiori banche private italiane con un opaco e vastissimo network estero focalizzato in particolare su irraggiungibili centri offshore.
Ciampi e Andreatta, con Bazoli, da loro scelto e nominato alla presidenza del Nuovo banco, sono i grandi protagonisti di quell’intervento di salvaguardia della stabilità del sistema creditizio nazionale e di ripristino di fiducia anche internazionale. Un intervento che, come si può ben immaginare, è stato tutt’altro che facile da realizzare. Il 17 giugno, scomparso Calvi (ritrovato morto a Londra il giorno dopo sotto il ponte dei Frati Neri) vengono sciolti i vertici del Banco. Il 19 l’istituto viene posto in amministrazione straordinaria che si conclude, chiarita la disperata situazione contabile, il 6 agosto con la liquidazione. Poche settimane di lavoro frenetico, alla ricerca di una soluzione. Il governatore per prima cosa si rivolge alle associazioni di sistema, Abi (la Confindustria delle banche) e Assbank (gli istituti privati) chiedendo la disponibilità a erogare finanziamenti: il Banco era crollato sotto il peso di una voragine da oltre 1.400 milioni di dollari (di allora). Ma l’«invito» non viene raccolto.
L’incontro
E il 2 luglio, annota Ciampi, alle ore 16,15 al ministero del Tesoro, si svolge un incontro importante: «Dapprima colloquio con Cingano e Rondelli», allora alla guida di Comit e Credit, «Andreatta, Sarcinelli e io chiediamo la loro opinione su possibili conseguenze valutarie in caso di moratoria nei pagamenti della holding lussemburghese dell’Ambrosiano e delle consociate. Cingano e Rondelli non manifestano preoccupazioni gravi. Sulla base di un appunto preparato da Carbonetti avanzo l’ipotesi di costituire una banca che subentri. Non vi sono osservazioni. Cingano e Rondelli sono molto riservati, per timore di essere impegnati nelle eventuali iniziative». Insomma, Comit e Credit, le banche pubbliche più grandi, non intendono prendere parte all’operazione di sistema. Forse i due banchieri, grandi soci e vicini a Enrico Cuccia, condividono le perplessità sul possibile rilancio del Banco che il fondatore di Mediobanca esprimerà in una frase rimasta celebre: «E’ come allacciarsi un cappotto partendo dal bottone sbagliato. Più si procede e più l’abbigliamento è goffo, quasi ridicolo». Perplessità del resto che saranno, anche a operazione già realizzata, diffuse nel mondo politico e finanziario: Eugenio Scalfari il 19 settembre 1982 definisce il Nuovo banco «fantasma inesistente».
L’istituto che nel 2007 diventerà Intesa Sanpaolo dopo una lunga stagione di fusioni e acquisizioni (fra cui la Comit, di cui nel ’94 respinge l’Opa) rivelandosi tutt’altro che un fantasma, nasce dunque nonostante le resistenze (annota ancora Ciampi: da Milano continuano a sorgere difficoltà. Non concedo niente. E a poco a poco rientrano) in tempi che per l’Italia sono da record. Dice Bellavite Pellegrini: «Si temeva una definitiva perdita di fiducia da parte del mercato e quindi il completo venir meno dell’avviamento». Tanto è vero che i depositi, in giugno pari a 5 mila miliardi, si erano ridotti in settembre a 1.814 miliardi. Punto minimo dal quale è poi iniziata la ripresa. La rapidità dell’intervento è tutta in quel weekend di agosto. Costituito il pool di banche socie Bazoli, fino ad allora «solo» un avvocato bresciano (il padre Stefano ha aperto lo studio con Ludovico Montini, fratello di Paolo VI) e vicepresidente della San Paolo, vince la «gara del rifiuto» come la chiama lui stesso, con Piero Schlesinger. Il consiglio che si tiene venerdì 6 alla Popolare di Milano lo nomina presidente. E al suo fianco c’è il direttore generale Pierdomenico Gallo. Il board si conclude a tarda ora, mentre fuori si scatena un temporale. Weekend di lavoro. Domenica Bazoli convoca i dirigenti: sono in cento lì, a lavorare giorno e notte. Alle 8.30 di lunedì 9 agosto riaprono i battenti 107 filiali, molte delle quali già con l’insegna nuova. La missione impossibile del Nuovo banco riesce. E, come rileva Mario Draghi da governatore di Bankitalia nel 2007, «il denaro pubblico impiegato nella liquidazione del vecchio Banco può stimarsi pari a meno di 350 milioni di euro di oggi». Nell’era post Lehman anche questa è una «lezione» da ricordare.
Sergio Bocconi