Anna Maria Bernardini De Pace, il Giornale 8/8/2012 (chiamala: 335 6217254), 8 agosto 2012
Può una donna “avere tutto”, cioè fare carriera e gestire la famiglia e la maternità? Ad Anne–Marie Slaughter, professore di scienze politiche a Princeton, che ne sostiene l’impossibilità, e dunque la necessità di scegliere, risponde la giornalista dell’Indipendent Laurie Penny affermando che le donne non hanno alcuna possibilità di scelta, perché, per loro, la libertà personale non ha lo stesso significato che ha per gli uomini
Può una donna “avere tutto”, cioè fare carriera e gestire la famiglia e la maternità? Ad Anne–Marie Slaughter, professore di scienze politiche a Princeton, che ne sostiene l’impossibilità, e dunque la necessità di scegliere, risponde la giornalista dell’Indipendent Laurie Penny affermando che le donne non hanno alcuna possibilità di scelta, perché, per loro, la libertà personale non ha lo stesso significato che ha per gli uomini. Nel concreto, una parlamentare del partito conservatore britannico, Louise Mensch, si dimette dal suo seggio perché sposata con un impresario musicale che vive a New York e, avendo tre figli piccoli, trova troppo complicato organizzare la sua vita. Dice di avere preferito la famiglia, contro la possibilità della politica, anche Marilena Parenti, prima dei non eletti del PD a Montecitorio e chiamata da Franceschini a sostituire un deputato designato a un altro incarico. Rifiuta quindi il seggio a Montecitorio, decidendo di vivere a Londra dove ha lavoro, marito e figlio in arrivo. A parte il malizioso sospetto che una legislatura destinata a finire al massimo nel prossimo marzo non può gratificare nessuno in nessun modo, può essere anche vero che le donne, a un certo punto della vita, si trovino a un bivio decisionale, che impone loro di rinunciare a qualcosa o di non volere accollarsi sacrifici pesanti per tenere tutto. Tuttavia, la coincidenza che siano due donne a rinunciare alla politica, dopo che tanto hanno fatto per arrivare nei luoghi di potere, deve far riflettere. Delle due l’una: o è possibile che le donne in politica non siano prese sul serio, come dice la Mensch, o è possibile che le donne siano le prime a percepire la non appetibilità del ruolo politico. In particolare ,e non a caso, donne che respirano aria anglosassone, da sempre anticipatrice di fenomeni che poi diventano internazionali (dalla musica dei Beatles ai patti prenuziali). Ebbene, a mio parere si percepisce una parabola discendente, in caduta libera quasi, del decoro sociale di un qualsiasi deputato. Dallo sfolgorio della carica, che portava onore, privilegi, tessere, pensioni rapide, importanti riconoscimenti economici e sociali, si è passati quasi alla vergogna di essere un deputato: degli onorevoli si parla ormai come di parassiti, ladri, sfruttatori, corrotti; tessere e privilegi sono destinati a scomparire. E’ una logica conseguenza della caduta d’importanza dei partiti; prima del crollo del muro di Berlino,quando il mondo ideologico era diviso in due, avevano la funzione di coagulare gli interessi di classe e la loro forza stava nella rappresentazione di questi interessi e nella contrapposizione manichea delle idee, ma anche nell’onore di sostenerle. Dopo i compromessi storici e le convergenze parallele degli anni ’70 e ‘80, il consociativismo degli anni ‘90 e le attuali larghe intese, il sistema parlamentare sembra avere perso la sua forza. Le diverse parti politiche sono praticamente indistinte e c’è una forte osmosi tra le parti in opposizione; in conclusione, il parlamento non è più luogo del vanto e del decoro. Tantomeno del potere, che è riservato all’esecutivo (lo ha detto anche Monti,nonostante l’imbarazzata retromarcia) se non alle grandi istituzioni bancarie internazionali. Perso dunque il ruolo di centralità del partito, persi tutti i privilegi simbolici ed economici dello status, l’essere deputato non è più un oggetto del desiderio, non è più “onorevole”; non c’è più interesse all’ambita spilla di riconoscimento; per nessuno che non sia mediocre intrallazzatore incapace di una propria autonomia produttiva. Ecco, allora, che le donne rappresentano il termometro più sensibile di un fenomeno che a breve si storicizzerà. Le donne sono meno narcise degli uomini, più concrete,lungimiranti e articolate; sanno soppesare i piatti della bilancia; checché dicano le Slaughter e le Penny, sanno scegliere bene tra un’ipotesi d’onore, che tale non è più, e un buono stipendio, un marito ricco o il fiore all’occhiello della maternità. Tramontata la vanità e l’opportunità economica e sociale del ruolo di deputato, non è per nulla difficile rinunciarvi, con a disposizione un’alternativa decente. Non trascurerei, dunque, l’aspetto sintomatico di queste scelte femminili, che tanto turbano le donne stesse e provocano sarcasmi maschili. Siamo in un’epoca di transizione e confusione. Persino gli economisti si affannano a spiegarci che cosa è accaduto, ma sono totalmente incapaci di prevedere o di scongiurare ciò che avverrà. Il nostro parlamento (ma anche altri europei e non) sta perdendo tutte le sue forze nella vergogna e nell’inutilità. Il diventare deputato, dunque, consente solo l’inserimento in una categoria sociale privata ormai dell’onore e senza più riverberi positivi. Vogliamo ancora credere che il rifiuto del seggio da parte di queste donne sia una scelta residuale da donnette, oppure cominciamo a pensare che le donne abbiano un’intelligenza istintiva ed emotiva superiore a quella degli uomini? Meglio “onorevole”, oppure onorevole mamma, moglie, professionista, ? Annamaria Bernardini de Pace