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 2012  agosto 05 Domenica calendario

ADDIO NICOLINI DIVO COMUNISTA

Renato Nicolini è stato un re di Roma. L’ottavo. Un re comunista e insieme molto dandy, giustamente compiaciuto di sé. In un certo frangente storico, tutto vero, nessuno potrà mai negare che il suo nome sia riuscito a brillare idealmente dopo Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio… e così via fino a Renato, sovrano assessore comunista e architetto, una creatura davvero libera, e tuttavia mai sfiorata dall’idea di abbandonare l’ingrato partito di Togliatti e Berlinguer per correre a danzare ancora meglio in chissà quale gruppo. Renato Nicolini è stato, insomma, una figura eterodossa nel paesaggio talvolta insignificante della sinistra italiana e, va da sé, romana. Tra le pubbliche virtù spettacolari che l’uomo, l’assessore, il fantasista , il patafisico ha avuto modo di mettere al mondo c’è modo di rammentarne alcune che mostrano bagliori degni di Hollywood e anche Berlino negli anni di Brecht e Weill: Estate romana, Effimero, Massenzio, Castel Porziano…
Nicolini, durante un regno quasi decennale, fra il 1976 e il 1985, rivelò infatti al mondo che un altro modus di governo era possibile, e questo attraverso il capitale della cultura e soprattutto del piacere. Tutto vero che dopo un periodo d’emergenza come quello del terrorismo la città e il paese aspettassero a braccia e gambe aperte il ritorno all’eros, sta di fatto che nel medesimo periodo in cui a Roma erano sindaci Carlo Giulio Argan (“Senza un Argan non sarei mai diventato assessore dell’effimero”, pare abbia detto), Luigi Petroselli e Ugo Vetere, i giorni delle “giunte rosse” , l’uomo ebbe modo di creare il proprio laboratorio culturale.
RENATO Nicolini era un amministratore, l’ho detto, ma anche un’altra cosa ancora, un “compagno”, certo, ma anche un appassionato di teatro d’avanguardia e dunque interprete di se stesso, il personaggio custodiva ancora una capacità rara di farsi collettore di bisogni diffusi e seminati da una generazione di ragazzi e ragazze insorti contro ogni conformismo fra ’68 e ’77. Basterebbe il racconto del festival internazionale dei poeti sulla spiaggia di Castelporziano, con Ginsberg, Evtushenko, Burroghs, Gregory Corso, Da-rio Bellezza, Simone Carella, per intuire la portata della sua esperienza. Oppure il ricordo del “Napoleon” di Abel Gance proiettato al Colosseo, o la Macchina dell’Amore a Villa Ada, un giacimento di idee e di passioni concrete che servirono a fare di Nicolini un oggetto di interesse politico mondiale. Già, venivano da tutto il mondo in quei giorni per scoprire come fosse stato mai possibile che un assessore comunista al Campidoglio avesse inventato un modello di governo della cosa pubblica di segno situazionista.
Ci sarebbe insomma aspettato che da lì a poco il Pci, il suo partito, valorizzasse il pezzo unico Nicolini, sarebbe davvero stato il minimo. E invece Re-nato vivrà, sì, dal 1983 l’esperienza di deputato per tre legislature, prima del Pci e poi del Pds, eppure senza che il suo patrimonio di idee diventasse bagaglio comune, risorsa dei comunisti. Al contrario, certuni, proprio lì alle Botteghe Oscure, lo definivano “inaffidabile”, “flippato”, se non di peggio. Così a un certo punto, lasciato il Pds, Renato provò a fare da solo, la sua lista al Campidoglio si intitolava “Liberare Roma”, anche se poi tutti la chiamavano “Liberale Roma”.
NON DIVENNE mai sindaco, Nicolini, si accontentò di un buon 8%. Però accettò l’invito di portare a Napoli, dove c’era Bassolino, il suo estro, la sua fantasia. Era ormai tardi, non c’erano più soldi, neppure per ridare vita alla festa di “Piedigrotta”. Non restava che avere memoria di ciò che il suo regno romano aveva rappresentato, anche dal punto di vista del fulgore spettacolare ed erotico, altro che burocrati comunisti incapaci di andare, nel migliore dei casi, oltre la realizzazione di un “divertimentificio” in Riviera. L’unico momento, il suo, in cui la risata sia riuscita a seppellire il potere. Se n’è andato a settant’anni, era ancora un ragazzo.