Antonella Rampino, la Stampa 7/8/2012, 7 agosto 2012
GERMANIA, MONTI FINISCE SOTTO ATTACCO
Ma no, i Parlamenti sono «una legittimazione democratica fondamentale», tanto «nel processo europeo» quanto a livello nazionale. Mario Monti prova a chiudere con una nota ufficiale la polemica che infuria dalla sua intervista al tedesco «Der Spiegel». «Non ho inteso in alcun modo auspicare una limitazione del controllo parlamentare sui governi... l’autonomia del Parlamento nei confronti dell’esecutivo non è affatto in questione...». Anzi, ogni esecutivo «ha il dovere di spiegarsi e interagire in modo dinamico, trasparente ed efficace con il Parlamento», anche per «individuare soluzioni verso un comune obiettivo europeo». Parole di rispetto per le assemblee parlamentari dopo le accuse di lesa maestà democratica fioccate dalla Germania, perché al settimanale tedesco - tra molti e ben più urticanti argomenti Monti aveva detto che qualche volta i governi devono «saper educare» i Parlamenti. E parole necessarie perché quell’intervista, nella quale Monti diceva di temere sentimenti anti-tedeschi in Italia, aveva fatto da miccia a tutto il possibile livore anti-italiano in Germania. Dilagato su ogni testata di Germania, dalla Faz a Die Welt alla Sueddeutsche Zeitung, per bocca del fior fiore della politica e dell’establishment. Con argomenti che, in Italia, son noti almeno dalla crisi dello Sme e che lo stesso Carlo Azeglio Ciampi si trovò a fronteggiare durante le complesse trattative per l’ingresso dell’Italia nell’eurozona. Anche allora il leit motiv era «non vogliamo pagar noi i vostri debiti», pur senza corollario di insulti su mani bucate e inattendibilità.
In realtà, nell’intervista allo Spiegel Monti aveva usato toni ben più duri che non cercare di dare una strattonata ad Angela Merkel con quel richiamo all’«autonomia» che i governi per far fronte alla crisi dell’euro - devono essere in grado di esercitare nei confronti dei Parlamenti. Ma in Germania essendo che l’Unione europea ha preso a modello istituzionale il parlamentarismo tedesco - è insorto tutto l’arco costituzionale proprio su quel punto. Un coro d’accuse di «attacco alla democrazia» - secondo la formula usata dal segretario generale della Csu - quando Monti aveva detto ben di peggio. Che «l’Italia paga con alti tassi i bassi tassi tedeschi». Che la Germania e «il cancelliere», anche per questo, dovrebbero essere «più flessibili». Che così c’è «rischio di una frantumazione dell’Eurozona». E che «senza questo rischio i tassi di interesse per i titoli di Stato tedeschi sarebbero un po’ più alti». E infine, anche, che sente crescere sentimenti antitedeschi in Italia. Argomenti ben più cogenti che non quel «ogni governo ha il dovere di educare i Parlamenti», subliminale sprone al coraggio per Angela Merkel, che si deve far vidimare le decisioni dal Bundestag e talvolta dalla Corte Suprema, come per l’Esm.
Di certo, se Monti parlava perché Merkel intendesse, il liberale ministro degli Esteri di Berlino Guido Westerwelle - che si vanta di aver bloccato in prima persona il varo degli eurobond - ha ben inteso, legando nella sua replica la necessità di «rafforzare, piuttosto che indebolire, la legittimazione democratica in Europa» al definire «pericoloso» il «tentativo di alimentare la propria importanza in patria». Come dire che Monti potrà anche fare il San Giorgio col Drago di Montecitorio, ma questo non può certo essere d’esempio ad alcun altro Paese in Europa, e tantomeno all’Europa stessa. Una notazione velenosa, ma nemmeno la più velenosa. Mentre ci si interroga se quella di Monti sia stata, più che una determinazione «antidemocratica», una gaffe. Come quando, in uno dei primi vertici europei, si presentò ai giornalisti di mezzo mondo esordendo con un «Vi porto i saluti del governo e del Parlamento italiano...», confondendo un pochino le due istituzioni. E lasciando confusi i giornalisti.