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 2012  agosto 07 Martedì calendario

EPO, LA TERZA GENERAZIONE DEL GRANDE MALE DA ORMONE CURATIVO ALLE MICRODOSI DOPANTI


Può essere considerato il male del secolo per tutto lo sport mondiale. Quando verso la metà degli anni 80 fu sintetizzato il gene che produce l’eritropoietina, con l’obbiettivo di curare i malati di reni e tumore, in pochi avrebbero potuto immaginare che questo ormone, composto da 193 amminoacidi, sarebbe diventato la sostanza doping più diffusa per quasi tutte le discipline sportive. In special modo per quelle di resistenza. Più epo nel corpo vuol dire avere più globuli rossi nel sangue, cioè un miglior trasporto di ossigeno ai muscoli, dunque una prestazione più elevata oltre che un recupero più rapido. Sono questi i fattori che hanno fatto di questa sostanza la “regina” del doping. Dal ciclismo, all’atletica, dal rugby al nuoto, non c’è quasi sport che non abbia fatto registrare un caso di positività. Anche perché per oltre un decennio (gli anni 90) non è stato possibile realizzare un test antidoping
che la rilevasse. Test (immunoelettrofocousing) che è arrivato ufficialmente solo verso i primi anni 2000. Trattandosi di un farmaco salvavita, l’evoluzione è stata continua. Dalle prime epo alfa, il cui dosaggio risultava così difficile da rendere il
sangue denso come melassa, con tutti i rischi connessi, alle beta, alla Dynepo e alla Darboepoetina, al Mircera, comunemente detta “cera” (ovvero: Continuus, Erithropoiesis Receptor Activator), l’epo di terza generazione che produce i suoi effetti in dosi minime e che durano nel tempo. Una può bastare per un mese. Poi, da quando
sono scaduti i brevetti ufficiali delle aziende che hanno prodotto questo farmaco per anni, sono arrivate sul mercato le cosiddette eritropoietine biosimilari. E all’epoca, 4 anni fa, l’allarme: questi prodotti, provenienti da Oriente (Russia, Cina, India) non offrivano le garanzie di purezza e controllo dei precedenti. E le “biosmiliari” avendo una molecola leggermente diversa da qualla dell’epo tradizionale potevano sfuggire più facilmente ai test. Ma anche i laboratori antidoping hanno nel frattempo fatto passi avanti. Quello di Colonia, che ha scoperto l’infintesima quantità di clenbuterolo nelle analisi dello spagnol o Contador, è anche quello che ha trovato l’epo nei campioni di Schwazer. Sofisticato e in grado, probabilmente, di individuare anche i dosaggi più piccoli nei test. Tecnica, quella delle microdosi, molto diffusa nel mondo degli imbroglioni sportivi, per restare sotto la soglia della sensibilità degli strumenti di controllo.