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 2012  agosto 07 Martedì calendario

DA BEN JOHNSON A MARION JONES IL LATO OSCURO CHE CANCELLA IL SOGNO DELLE OLIMPIADI


MA SOLTANTO una brutta conferma per chi sospetta che lunga sia l’ombra dietro la luce. Se un lumicino positivo ci può essere, nella malinconia di questa scoperta, è che ci risparmia almeno l’umiliazione orribile di vederlo prima vincere e poi squalificare. Colpisce che sia un campione laureato da titoli, ori e record come il ventisettenne di Vipiteno a essere pizzicato, anziché la solita mandria di lottatori, sollevatori, discoboli minori, e falciati perché più ingenui o con meno soldi per la “preparazione”. Ma non c’è nulla di nuovo sul fronte dei cinque cerchi. Ad Atene, otto anni or sono, erano stati 28, un record, i partecipanti trasformati in flaconi viventi di ormoni, diuretici, stimolanti della respirazione, betabloccanti e antinfiammatori. Persino un povero cavallo della squadra irlandese, chiamato Cristallo di Waterford, fu dopato con un medicinale antipsicotico, perché troppo balzano. A Pechino, soltanto 18: moltissimi per colpa del Cera, il nuovo farmaco per stimolare la produzione di globuli rossi, quindi l’ossigenazione. Atleti più onesti? Controlli più laschi? Laboratori più abili nella mascheratura del doping? Sono le superstar, come Schwazer, vincitore a Pechino, come Ben Johnson nella Seul del 1988, come Michelle Smith poi sposata DeBruin, che da una dignitosa mediocrità natatoria passò a tre ori e un bronzo ad Atlanta per essere più tardi squalificata per quattro anni, come il nostro Rebellin, argento a Pechino, a fare scandalo. Ma nessuna nazione, in nessuna epoca di quelle Olimpiadi che dovrebbero essere il tempio delle Vergini Vestali sportive, incluso solenne giuramento antidoping durante i Te Deum di apertura, è stata mai immune dalla tentazione, e dalla pratica, dell’aiutino chimico. Il primo caso accertato di doping risale addirittura al 1904, Terza Olimpiade a St. Louis, Missouri, quando il vincitore della maratona, Tomas Hicks di Cambridge usò temerariamente la stricnina come stimolante. Ha detto domenica scorsa al
New York Times
il professor Charles Yesalis della Penn State University, considerato un’autorità in materia: «Guardo le Olimpiadi con passione e gioia, pur sapendo benissimo che cosa ci sia dietro il sipario». Ma naturalmente, «dietro il sipario», come dice il professore americano, «ci sono sempre soltanto gli altri, ché noi siamo puri come l’acqua di fonte». Quando le atlete cinesi irrompono sulla scena del nuoto stracciando record, e adducono ridicole spiegazioni a base di sangue di tartaruga scomparendo prima che spuntino loro baffi a manubrio e barbe da ayatollah, gli americani gridano alla truffa. Esattamente come oggi i cinesi, di nuovo sotto la lente per la ragazzina 16enne veloce come Phelps (ma poi non è vero) che ha tagliato 7 secondi in un anno dal proprio «personale », vorrebbero sapere come la coetanea Katie Ledecky del Maryland,
oro negli 800 metri, abbia potuto segare 11 secondi dal proprio tempo nello stesso tempo. Forse i cinesi non sanno che l’animale simbolo del Maryland, stato di Phelps e della Ledecky, è proprio una tartaruga.
In attesa di sapere, come fu per la Smith DeBruin, per Johnson, per il nostro Schwazer sul quale ora, purtroppo ma inevitabilmente, si allunga l’ombra maledetta e retroattiva fino al trionfo in Cina, se le nuove tecniche di rilevamento del doping
riusciranno a raggiungere le nuove tecniche di doping, condannare come bari infami e ignobili spergiuri gli atleti scoperti genera un sospetto ancora più acuto. Provoca il dubbio del doping collettivo da ipocrisia. Certamente sono lontani i tempi della brutalità di lanciatrici sovietiche visibilmente più maschi che femmine anche all’esame più superficiale
o gli anni della crudeltà nazi-stalinista dei tecnici della Ddr che portarono la pesista Adreas Kreger, a un intervento chirurgico non voluto per il cambio del sesso dopo le enormi quantità di ormoni maschili. 190 atlete tedesche dell’Est fecero causa nel 2005 alla Jenapharm, la «Big Pharma» comunista per le «pillole blu» di ormoni che le devastarono con tumori, sterlitià, deformità.
Anche la ferocia dei tecnici della ginnastica, che congelavano bambine in età pre-puberale e portavano ginnaste bonsai alle Olimpiadi è stata, almeno teoricamente, bandita, pur se la nostra Vanesse Ferrari, soltanto ottava nell’Artistica ha ringhiato di essere stata «la prima delle donne». Si esige purezza, ma si pretende il brivido dell’oro, la medaglia a qualsiasi costo. La pressione di sponsor, politicanti, governi non soltanto totalitari, Comitati Olimpici, spettatori, organizzatori, televisioni che spendono fortune e non vogliono trasmettere soporifere dirette di lanci del martello per «onorevoli piazzamenti», dei media tutti, per spremere un altro centimetro, un altro centesimo di secondo, un altro passo di marcia, un altro titolo di giornale da questi uomini e don-
ne, li spinge alla disumanità di prestazioni che vanno oltre il «più alto più veloce, più forte». «Guardo le Olimpiadi come guardo un film di Spielberg, divertendomi moltissimo chiedendomi come abbiano prodotto tutti quegli effeti speciali», dice l’americano al
New York Times.
Certo non tutti lo fanno, non sono tutti dopati (e quindi nessun dopato, secondo la torva formula) e l’abilità naturale, il sacrificio, la passione, la costanza, l’organizzazione, i maestri, le preparazione, l’abnegazione di genitori, vincono ancora tante medaglie. Onore ai puri e ai veri. Ma in questo preciso momento, in qualche laboratorio del mondo o sulla faccia oscura della Luna, qualcuno sta già sperimentando la molecola del futuro per ottenere quello che il presidente di una squadra di football americano, Al Davus sintetizzava benissimo: «
Just win, baby
». Vinci e basta, tesoro. Per quanto forte corra l’Achille dell’antidoping non riuscirà mai a raggiungere la tartartuga del doping. Anche se dissanguata.


DATI:

2008
PECHINO
Un argento e un bronzo nella pistola revocati al coreano Kim Jongsu. Nel 2009 il ciclista Davide Rebellin deve restituire l’argento della prova su strada

2004
ATENE
Nel 2011 un tribunale greco condanna i due ex velocisti Kostas Kenteris e Ekaterini Thanou: hanno finto un incidente per evitare controlli improvvisi

2000
SYDNEY
Nel 2007 la velocista Marion Jones rende i tre ori e i due bronzi vinti in Australia. 2008: lo scandalo doping travolge lo sprinter d’oro Maurice Greene

1988
SEUL
Cinque vincitori squalificati, tra cui il velocista canadese Ben Johnson, positivo agli steroidi: aveva vinto, con record, l’oro nei 100 metri


1984
LOS ANGELES
Undici atleti risultano positivi. Tra loro il martellista italiano Giampaolo Urlando e il finlandese Matti Vainio, bronzo nei 10mila metri

1968
CITTÀ DEL MESSICO
Il primo atleta sospeso ufficialmente ai Giochi dall’antidoping è lo svedese Hans-Gunnar Liljenwall, pentathlon: aveva fatto ricorso all’alcol