Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 05 Domenica calendario

ILVA, IL LEGALE AL FIGLIO DEL PATRON RIVA: “PILOTARE LA VISITA DELLA COMMISSIONE”


Che impressione il dirigente dell’Ilva che dice al telefono: «Ai giornalisti bisogna tagliargli la lingua, e cioè pagarli». Ma c’è anche l’avvocato che assicura il figlio del patron Riva: «La visita della commissione nello stabilimento va un po’ pilotata». Non fa una bella figura neppure il dirigente regionale dell’Arpa, l’Azienda regionale protezione ambiente, che all’uomo Ilva che si altera perché certe analisi sono risultate negative, a mo’ di giustificazione dice: «Sono solo osservazioni... mica prescrizioni...».

E’ uno Stato a sé la più grande acciaieria d’Europa. Con le sue regole e i suoi principi. Potremmo dire che era uno Stato a sé, perché adesso la nuova dirigenza, il presidente Bruno Ferrante, riconosce la sovranità della legge e caccia via gli impresentabili, che fino a ieri erano destinati a rappresentare l’azienda ai tavoli tecnici.

In queste ore, il Riesame sta decidendo il destino dell’Ilva e di Taranto. In gioco ci sono otto custodie cautelari agli arresti domiciliari e il sequestro di sei impianti dell’area a caldo dello stabilimento.

Se la linea Maginot dell’Ilva è stata quella di dimostrare di aver sempre rispettato l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale - mentre l’accusa sostiene che le fonti di inquinamento sono le polveri e le diossine «diffuse e fuggitive» disperse non tanto dai camini, e quelle sono le emissioni convogliate i cui limiti sono fissati dall’Aia le nuove carte depositate dall’accusa al Tribunale del Riesame gettano una luce sinistra sulla stessa genuinità dell’Autorizzazione integrata ambientale.

Parlare con Corrado In un brogliaccio di una telefonata tra due dirigenti Ilva si accenna alla necessità di «parlare con Corrado...». La telefonata in questione non è stata depositata al Riesame, fa parte di un altro fascicolo, e nel brogliaccio gli uomini della Finanza ipotizzano che si tratti di Corrado Clini, all’epoca dei fatti direttore generale del Ministero dell’Ambiente. Un giornale locale fa il nome del ministro Clini, il quale protesta per essere stato tirato in ballo: «Non ho mai avuto rapporti con il gruppo dirigente dell’Ilva né mi sono mai occupato dell’Aia».

Quella intercettazione fa parte di un fascicolo che vede Girolamo Archinà, responsabile relazioni istituzionali dell’Ilva di Taranto, indagato per corruzione in atti giudiziari, per aver corrotto un perito dell’accusa, il professor Liberti. Nove mesi di intercettazioni. Archinà (che ieri sera il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, ha cacciato via dall’Ilva) ha parlato con mezzo mondo: politici, sindacati, uomini delle istituzioni. Sicuramente hanno discusso anche di richieste di posti di lavoro e di favori garantiti. Ma questa è un’altra storia (processuale).

La commissione pilotata Si legge nel rapporto della Finanza: «Il fatto che la commissione Ipcc debba essere pilotata, e che sia stata in un certo qual modo avvicinata, si rileva anche dalla conversazione nella quale l’avvocato Perli aggiorna Fabio Riva dei rapporti avuti con l’avvocato Luigi Pelaggi, Capo dipartimento del ministero dell’Ambiente. Da quanto riferisce il Perli si rileva che Pelaggi abbia dato precise disposizioni all’ingegnere Dario Ticali - il presidente della Commissione Ipcc - su come procedere nell’immediato futuro nel corso dell’iter di dette trattazioni. Perri aggiunge che non avranno sorprese e comunque che la visita della commissione nello stabilimento va un po’ pilotata».

Siamo nel giugno del 2010 e l’Aia stava per essere approvata. Nel marzo, c’era stata quella campagna di rilevamenti dell’Arpa che non era piaciuta all’azienda. I valori di benzapirene erano tre volte superiori a quelli accettabili. «In questo modo - dice Archinà al direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato - farete chiudere l’Ilva...».

E dunque, quando arriva la commissione Ipcc, l’avvocato Perli se ne esce con una frase colorita: «Ai dobbiamo tenere (si riferisce ai componenti della commissione, ndr) legati alla sedia: “Non avremo sorprese”».

Le altre telefonate E quando si tratta di impiantare negli stabilimenti a rischio (non solo l’Ilva, ma anche Eni per esempio) le centraline per i rilevamenti, il direttore dell’impianto, l’ingegnere Capogrosso se ne esce: «Col cavolo che gli consentiamo - dice in sostanza - di metterle nell’area dello stabilimento». E infatti chissà perché le centraline sono fuori dai confini dell’acciaieria.

Ma in un’altra telefonata, il responsabile - cacciato giusto ieri dal presidente dell’azienda tarantina, Bruno Ferrante - delle relazioni istituzionali Archinà, se la prende con la gestione interna delle «comunicazioni»: «Purtroppo ancora una volta sono costretto a dire che avevo ragione. Io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarle la lingua, cioè pagare la stampa per non parlare».

Quando escono dall’aula del Riesame, gli avvocati dell’Ilva sono raggianti: «Noi abbiamo sostenuto che l’azienda ha sempre rispettato le prescrizioni dell’Aia - dice l’avvocato De Luca - e tutti i rilevamenti dell’Arpa non sono mai usciti dai parametri di legge. Le polveri? A Taranto nei quartieri più esposti, Tamburi e Borgo, non sono mai stati superati i 35 microgrammi per metro cubo. A Milano, sono 52 di media».