Angelo Allegri, il Giornale 5/8/2012, 5 agosto 2012
La Merkel ha problemi di casa - Come gli spagnoli, anche i tedeschi sono preoccupati per i prezzi delle case
La Merkel ha problemi di casa - Come gli spagnoli, anche i tedeschi sono preoccupati per i prezzi delle case. Ma il motivo è esattamente l’opposto. A Madrid il crollo delle quotazioni ha mandato sul lastrico migliaia di famiglie. A Berlino e dintorni i costi per metro quadrato continuano a salire anno dopo anno e in particolare negli ultimi due: di fronte alle turbolenze dei mercati finanziari, in molti hanno investito sul «Betongold»,l’oro di cemento, come lo chiamano da queste parti. Così dal 2003 a oggi i prezzi sono saliti del 39% nella capitale, del 31% ad Amburgo, del 23% a Monaco e del 14 a Francoforte. Negli ultimi 24 mesi la crescita in tutto il Paese è stata del 4,5 per cento. Certo, in valore assoluto i prezzi rimangono, almeno visti dall’Italia, un affarone. La quotazione media al metro quadrato è di 4.200 euro a Monaco di Baviera (la città più cara), 3.100 ad Amburgo, 2.900 a Francoforte e 2.200 a Berlino. Per fare un confronto basta pensare che a Milano il prezzo medio supera i 3.800 euro e a Roma si avvicina ai 4.000. Visto anche il maggiore potere di acquisto delle famiglie tedesche, gli aumenti non sembrano un dramma. Tanto più che nel periodo in esame il livello dei mutui è cresciuto solo del 7%, contro il boom del 150% che in Spagna ha portato poi al disastro. I tedeschi, insomma, quando comprano casa lo fanno con i propri soldi e non con quelli delle banche e questo nei fatti esclude lo scoppio di una bolla immobiliare. Ciò nonostante giornali e tv dedicano ai «prezzi record» lunghe cronache e preoccupate analisi. Il fenomeno è una delle manifestazioni, e nemmeno la più clamorosa, della vera e propria psicosi per la stabilità dei prezzi, del terrore dell’inflazione,che, da Weimar in poi, sembrano ormai incisi nell’anima tedesca. Ed è questo atteggiamento a condizionare l’approccio politico nei confronti della Banca centrale europea. Per definire le ultime decisioni di Mario Draghi, che ha avviato l’azione di aiuto ai Paesi in difficoltà di bilancio, i tedeschi non sono andati per il sottile: «Un’arma per la distruzione della ricchezza », «una licenza per stampare soldi », «una macchina per creare inflazione». Il bello è che in Germania l’inflazione non c’è. Non basta: gli analisti sono unanimi sul fatto che non c’è il minimo segnalepremonitore in questo senso e che la Banca centrale europea si è mossa con abilità per evitare ogni rischio. Dopo un «boom» del 2,3% in primavera, l’aumento dei prezzi in luglio è stato dell’1,8 per cento. Molto meno che in Italia,dove l’inflazione si avvicina al 3% (livello peraltro considerato tutto sommato fisiologico dagli esperti). Data l’attuale situazione di crisi dell’economia,le incertezze delleimprese nel chiedere prestiti e delle banche nel concederli, la massa monetaria dell’area euro, indicatore principe dei pericoli di inflazione, è cresciuta nell’estate del 2012 meno del 3% rispetto all’anno precedente. Il campanello d’allarme, secondo gli analisti, è a quota 4,5 per cento. Ben lontano, dunque. Eppure dalle Alpi al Mare del Nord la paura è grande. Tanto da far traballare, se si parla di crisi dell’euro, la tradizionale razionalità tedesca. Thomas Straubhaar, economista dell’Università di Amburgo, ha cercato di sintetizzare l’atteggiamento dei suoi concittadini: «Siamo come una famiglia che ha perso tutto quello che aveva in un’alluvione. E questo ci ha provocato un trauma così grande, che se vediamo la nostra casa andare a fuoco, abbiamo perfino paura dei pompieri. Preferiamo che tutto bruci piuttosto che vedere l’acqua bagnare di nuovo le nostre cose». L’apologo si riferisce nelle intenzioni al cittadino medio ma con tutta probabilità è applicabile anche ai sofisticati economisti della Bundesbank, inflessibili sacerdoti della stabilità monetaria. Nella primavera scorsa fece rumore quello che i commentatori finanziari presentarono come una svolta storica. Dopo lunghi studi e approfondite valutazioni gli uomini guidati dal presidente Jens Weidmann fecero sapere che per facilitare la situazione dell’euro avrebbero accettato livelli più alti di inflazione, liberando sia pure molto parzialmente le mani a Draghi e ai suoi. Da un tetto del 2% fecero capire di poter arrivare perfino al 2,5 per cento. Sono bastate poche settimane e la crisi economica si è incaricata di chiarire che il vero pericolo è oggi la deflazione, spiazzando le pensose valutazioni delle teste d’uovo della Bundesbank.