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 2012  agosto 07 Martedì calendario

QUANDO L’ORO È UN IMBROGLIO

Il primo ricordo prende una direzione e sempre quella: Seul 1988, 100 metri, Ben Johnson. Quel canadese di origine giamaicana aveva gli occhi grandi, e i muscoli ancora di più: battè Carl Lewis in un 9"79 che allora fu record del mondo, ma non era vero. Bastarono pochi giorni a dichiararlo positivo agli steroidi e costringerlo alla fuga infamante dalla Sud Corea. Non è stato il primo caso di doping alle Olimpiadi, evidentemente neppure l’ultimo. Ma resta — per distacco — il più famoso.
Storia Il primo risale al 1968: lo svedese Hans-Gunnar Liljenwall, 27 anni, vinse il bronzo nel pentathlon moderno, ma fu squalificato. Troppo alcol in corpo. Disse di aver bevuto due birre per calmarsi, prima della gara di pistola, ma dovette restituire la medaglia: robetta, se pensiamo ai casi che sono venuti dopo. Restrigendo il campo d’azione ai Giochi Estivi, la «bibbia» della storia olimpica, il Wallechinsky-Loucky, conta 85 positività fino a Pechino 2008. Prima di Schwazer, l’Italia aveva dovuto incassare le ferite di Gianpaolo Urlando, 4° nel lancio del martello a Los Angeles ’84 e poi messo fuori classifica per la positività al testosterone, e soprattutto di Davide Rebellin: il vicentino, argento a Pechino 2008 nella prova in linea del ciclismo su strada, perse la medaglia. All’Italia, di rendere un podio olimpico, non era mai capitato.
Famosi Non vengono citati negli 85 casi (che riguardano sostanzialmente le positività in competizione) ma alla vigilia dei Giochi di Atene 2004 fece scalpore la vicenda degli sprinter greci Kostas Kenteris e Ekaterini Thanou: vennero squalificati alla vigilia, per aver saltato tre controlli consecutivi. Quattro anni prima — siamo a Syndey 2000 — caddero teste eccellenti: la russa Irina Korzhanenko (getto del peso, steroidi) e l’ungherese Robert Fazekas (lancio del disco, voleva scambiare le provette di urina). Entrambi d’oro, entrambi travolti dallo scandalo.
Altri Detto che, di quegli 85 casi, 17 riguardano donne e 8... cavalli, gli «scalpi» di un certo peso non sono finiti. Pensiamo al finlandese Martti Vainio, avversario di Alberto Cova nel mezzofondo negli anni 80, argento nei 10.000 a Los Angeles 1984 proprio dietro all’azzurro e positivo al metenolone. Oppure a Rashid Ramzi, marocchino poi naturalizzato per il Bahrein, olimpionico dei 1500 a Pechino 2008 e detronizzato per la positività al Cera, Epo di più recente generazione. Senza contare le medaglie d’oro olimpiche travolte dal doping dopo i trionfi: il ciclista Tyler Hamilton, oppure due stelle assolute dello sprint come Marion Jones e Justin Gatlin, per citare solo tre esempi. Il fatto è che adesso in questa lista c’è anche Alex Schwazer, maledizione.