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 2012  agosto 06 Lunedì calendario

«AVEVO PAURA, MI HA SCELTO LEI»

«La scelta è stata inevitabile. Capisci la differenza tra le storie intense, di grande passione, e l’amore profondo. Non puoi sbagliare. Scatta qualcosa di unico: ti spaventa, perché è impegnativo e sai che ti condizionerà, ma diventa la priorità assoluta. Sentivo tutto questo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo. Stavamo insieme e avevamo storie parallele. Poi l’idea che qualcun altro potesse sfiorarla ha cominciato a farmi male. Patrizia è stata più brava. Ha detto: "Sono innamorata di te". Mi ha chiesto di sposarla sul muretto di fronte a casa sua, ad Alghero, nei giardini della Mercede».
Antonio Marras parla con abbandono di Patrizia Sardo, moglie, madre dei suoi figli Efisio e Leonardo, compagna, sodale, socia da quasi 23 anni. Le altre, tante, si riducono a due: Elisabetta, giunonica, e Paola, bellissima. Ma non sono che ricordi di cui sorridere («E lei come fa a saperlo?!»). Perché non c’è un passato di cui (s)parlare se l’amore per Patrizia viene paragonato allo Sturm und Drang: «Il mare in tempesta, la spuma bianca che si infrange negli scogli e poi la calma».
Lo stilista sardo racconta e disegna, scrive e annota, dentro un diario che la moglie gli ha appoggiato sul tavolo, nello show room milanese di via Cola di Rienzo. Lei non resta, si sposta. Così ignora la sperticata dichiarazione che le sta tributando questo creativo riservato e geniale, che anche quando era direttore di Kenzo è rimasto a lavorare nella sua isola, testardo!, e i partner francesi li riceveva in casa, di fronte a Capo Caccia.
«Non so come sono le anime gemelle. So che io sono animale. Saprei riconoscere tra mille l’uomo che potrebbe interessare Patrizia. Ed è successo, infatti. A una cena, in Russia: c’era un inviato speciale con cui lei ha chiacchierato in maniera animata e intensa tutta la sera. Non sono stato zitto, non è da me».
Il timore che lo accompagna sempre, del resto, è che lei possa lasciarlo. «Ho paura che si stanchi. Mi chiedo e le chiedo perché si è innamorata di me. Penso di non meritarla. È difficile sopportarmi, faccio fatica persino io... Non sono mai contento. I figli sono l’eccezione. La loro nascita ha segnato lo spartiacque: prima e dopo, niente è più lo stesso. Efisio, il primogenito, era podalico. Quando me lo hanno fatto vedere, così rannicchiato, è stata una scossa. Fu una grande notte di sofferenza. Dopo il parto Patrizia non la smetteva di sobbalzare sul lettino, non l’ho lasciata un attimo».
Lo chiama «amore ossimoroso». «È come respirare. È fatto di affinità, di scelte comuni e di contrasti accesissimi. È inspiegabile, ma è la formula matematica che ci fa stare insieme, mentre intorno a noi tutti si separano». Ammette: «Devo a lei se ho acquistato fiducia in me a prescindere dagli stracci». Dove stracci sarebbero gli abiti che firma. E con questo non li vuole sminuire, è che i livelli di profondità sono diversi. Però non nasconde i difetti di Patrizia: «È una stronza col botto. Carattere forte, deciso. Provo un’attrazione incontrollabile per questo tipo di donna».
Il tradimento lo considera «inevitabile». «Il pensiero vola, io poi ho un solo neurone che gira continuamente. Ma ho sempre preferito immaginare. La storia ideale è con una sconosciuta, di cui ignoro nome e professione: ne vedo tante in aeroporto, al ristorante. Mi fermo lì. Anche perché in quei momenti capisci come mai la persona accanto a te è stra-ordinaria, fuori dall’ordinario: se paragonata alle altre ogni volta è vincente».
Due immagini richiamano i poli della felicità e del dolore, vissuti insieme. «Quando è morto mio padre, per me è stato durissimo. Mi rivedo all’ingresso della chiesa di San Paolo, appoggiato a una saracinesca abbassata, con Patrizia vicino». Mentre il ricordo più luminoso li riporta al mare. «Lei che arriva in spiaggia, alle Bombarde, con sua mamma: indossava un costume nero a pois bianchi. Aveva 14 anni».
Oggi la vita e le giornate sono «molto affollate». C’è un momento, tuttavia, in cui il tempo si ferma e il mondo smette di girare. «Quando siamo sfiniti lei mi dice: "Abbracciami un po’"».
Elvira Serra