Lettere al Corriere, Corriere della Sera 06/08/2012, 6 agosto 2012
UOMO SENZA MACCHIA. FRANCESCO DI MAGGIO
Fuori dalla canea che agita questi convulsi accadimenti, c’è sempre un momento per la riflessione. Ho atteso, quindi, qualche giorno dal rinvio a giudizio sulla vicenda trattativa Stato-mafia. Diceva Giovanni Falcone: «Il rinvio a giudizio si chiede solo quando si ha la certezza che le prove acquisite potranno reggere al dibattimento». Reggerà a questa prova il procedimento che si è appena instaurato e che ha avvelenato la storia di questi giorni? Io non lo so. Ne sono convinti, invece, i «professionisti dell’antimafia»: europarlamentari, giuristi, avvocati, internauti, giornalisti e tanti altri che, sulle carte, sugli atti, sulla vita di quanti hanno combattuto la mafia, hanno costruito carriere e a volte fortune. A me non sfugge, invece, che sotto l’ombrello dei Falcone, dei Borsellino e di tanti altri Servitori dello Stato, si nascondano spesso ipocrisie, meschinerie e superficialità. Ai magistrati di Palermo che mi chiedevano perché avessi atteso così tanto tempo a parlare delle carte di mio fratello che così gelosamente ho custodito, ho risposto la stessa cosa che il primo Presidente della Corte di Cassazione ha detto ricordando Loris D’Ambrosio: «Pensavo che la sua storia personale meritasse più rispetto». Sarebbe bastato chiedere al Csm il fascicolo personale di Francesco Di Maggio per leggere i giudizi che su di lui avevano espresso Mauro Gresti, Adolfo Beria D’Argentine e Francesco Saverio Borrelli. E se questo non fosse stato sufficiente, sarebbe bastato leggere gli interventi ufficiali nelle sedi istituzionali, che il giudice Di Maggio aveva fatto durante il periodo stragista. O, verosimilmente, sarebbe stato sufficiente trovare una firma di Francesco Di Maggio in calce ai provvedimenti dei quali è accusato. Così, forse, non è stato o non è stato sufficiente. Io non so e non capisco perché mio fratello sia coinvolto in questa vicenda. In testa continuano a girarmi le parole del Procuratore nazionale Antimafia dr. Grasso: «I magistrati di Palermo hanno agito in buona fede». Cosa vuole dire? Che i magistrati possono agire anche in malafede? Attendiamo con serenità gli eventi, certi che difenderemo in ogni sede quell’eredità morale che è il patrimonio più importante che mio fratello ci ha lasciato.
Tito Di Maggio
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