Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 05 Domenica calendario

DNA IN VENDITA AL SOCIAL MARKET

Finalmente! Anche in Italia, un libro sulla commercializzazione e il consumo di informazioni genetiche personali, dove il fenomeno non è associato alla minaccia di rigurgiti razzisti e nazisti o di inevitabili e catastrofiche discriminazioni economiche o sociali. Solo perché al colore della pelle, alla morfologia del viso, al dialetto o ai vestiti che portiamo, si sono aggiunte anche le sequenze del Dna per caratterizzarci come individui con una genealogia biologica e un’appartenenza culturale determinata. Sono ancora alla ricerca di qualcuno in grado di spiegarmi in cosa consisterebbe il presunto carattere eccezionale o speciale delle informazioni contenute nel mio Dna, rispetto a qualunque altra informazione che mi riguardi. E non ho trovato chi abbia una risposta convincente. A parte raccontare la favola che esisterebbe un modo di pensare perverso, che si chiama «determinismo genetico», e che vuole creare un mondo fondato su una giustificazione scientifica delle diseguaglianze economiche, politiche e sociali. In breve, che dietro la genetica si nasconde il nazismo. Ma questa è, appunto, una favola. Come accade per molte favole, a cominciare dalle religioni, piace più di una spiegazione razionale e basata su fatti. Per cui ha avuto e continua ad avere un gran successo. Ergo ci marciano gli analfabeti di epistemologia e i faziosi illiberali, che teorizzano l’esistenza di «diritti genetici»: qualcosa di non molto diverso dai diritti naturali difesi dalle concezioni creazioniste e assolutiste di stampo religioso.
Il libro di Pistoi è la guida migliore che si possa leggere in italiano a un mondo nuovo e imprevedibile, che sarà creato dall’incontro fra lo straordinario potenziale comunicativo delle tecnologie dell’informazione, espresso da internet e dai social networks, e il flusso inarrestabile e in crescita esponenziale di informazioni prodotte dalle sempre più efficienti tecnologie di scansione e analisi informatica dei genomi individuali. L’autore è un giornalista scientifico. Ma parte da un dottorato in biologia molecolare. Cosa che s’apprezza subito. Perché non c’è mai enfasi o esagerazione: le cose sono dette sulla base di una conoscenza di prima mano o documentata, e con una prosa scorrevole. Il libro è costruito intorno all’esperienza di farsi analizzare il proprio Dna da una delle più quotate società che offrono questi servizi.
Il messaggio più importante del libro, ovviamente a giudizio di chi scrive, è il seguente: «Se c’è una cosa che ho imparato dal mio profilo genomico – dice Pistoi – è la sua esemplare mediocrità: potrei scambiare i miei profili di suscettibilità con quelli di quasi tutti i maschi della mia età e la differenza riguardo al mio futuro sarebbe irrilevante». Altro che eccezionalità delle informazioni genetiche! Giustamente, aggiunge Pistoi, la mediocrità dipende anche dal fatto che siamo ancora agli inizi del lavoro di interpretazione dell’archeologia genetica stratificata nel Dna. Ma è già chiaro che per cavar fuori informazioni davvero utili, per la salute o per capire in cosa siamo speciali, cioè perché dal nostro genoma vien fuori un animale che è decisamente più unico, cioè individualizzato o dotato di tratti singolari, di qualunque altro esemplare biologico prodotto dall’evoluzione biologica, dobbiamo superare la mentalità protezionistica e le paure legate a un’idea esasperata e fuorviante di privacy associata ai dati genetici.
Mentre il libro di Pistoi andava in libreria la rivista «Nature» pubblicava un’analisi dei problemi bioetici sollevati dall’accumulazione di un massa crescente di informazioni genetiche, anche alla luce del fatto che, un paio di mesi fa, proprio la società che ha genotipizzato il Dna di Pistoi ha chiesto di brevettare un test genetico per la predisposizione al Parkinson, che usa dati ricavati dalle sequenze dei genomi personali inviati dai clienti. I bioeticisti amano strapparsi i capelli davanti alla commercializzazione del Dna o ai rischi che i propri dati genetici diventino accessibili. Ma ci sono argomenti decisamente più validi a favore di una liberalizzazione dell’accesso a questi dati – a meno che una persona voglia, con pieno diritto, non far sapere a nessuno che ci sta scritto nel suo Dna – che non per proteggerne la riservatezza a costi esorbitanti, senza garanzie vere di anonimato e penalizzandone lo sfruttamento scientifico e medico.
Intanto, come fa notare Pistoi, le società che offrono i servizi genomici li presentano non solo come potenziali strumenti medico-sanitari, ma anche come un’esperienza ludico-conoscitiva. Un modo per trovare anche nuovi spunti di socializzazione. Fanno leva, per esempio, sulle curiosità prosopografiche o genealogiche. Se aveste soldi da buttare, non sareste curiosi di sapere se siete discendenti di Gengis Kahn o della sua famiglia; il cromosoma Y dello 0,5% dei maschi del mondo avrebbe origine in Mongolia circa mille anni fa. Quanto a conoscere i rischi di ammalarsi di un particolare tumore o malattia neurodegenerativa, o di andare incontro a effetti indesiderati se si assume qualche particolare farmaco, è presto. Chi ha provato a farsi sequenziare il genoma da società diverse (Navigenics, 23andMe, DeCode o Knowme) ha ricevuto risultati diversi. Questo perché le varianti (SNPs o snips) usate per predire i rischi di malattia o le predisposizioni sono scarsamente predittive. Per le varianti già medicalmente utili sono disponibili i test genetici o farmacogenomici, e la Food and Drug Administration tiene una lista aggiornata dei farmaci che vanno somministrati con test farmacogenomici perché la loro efficacia o rischiosità dipende dal profilo genetico individuale. Al momento sono 110.
La possibilità di ricavare informazioni utili dai genomi individuali dipenderà dalla disponibilità di un numero significativo di dati sulla variabilità individuale. Cosa che sta facendo, dal 2008 «The 1000 Genomes Project», che ha sequenziato mille genomi individuali anonimi con lo scopo di studiare la variabilità genetica in rapporto ai profili fenotipici. Ma soprattutto dell’opportunità di correlare dati genetici e biografici, senza anonimizzare. È l’obiettivo, quest’ultimo, del Personal Genome Project, lanciato dal genetista di Harvard George Church e a cui ha aderito per esempio Steven Pinker, che si è fatto sequenziare il genoma firmando in consenso informato aperto e quindi lasciando che le informazioni contenute nelle sequenze del suo Dna e i suoi dati clinici siano accessibili a chiunque li vuole studiare e confrontare con quelli di altre persone. Abbandonando l’idea antievoluzionistica che i dati genetici siano qualcosa di eccezionale, cioè da proteggere più di qualunque altra informazione si potrà disporre finalmente di numeri sufficienti per fare collegamenti statisticamente e biologicamente informativi tra i profili genomici e le biografie personali, e così riuscire a dissezionare le componenti genetiche e ambientali delle malattie complesse.