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 2012  agosto 05 Domenica calendario

IN ARRIVO UN’ONDATA DI LIQUIDITÀ

Nessun problema. Si può fare. Il Fondo monetario internazionale ha dato la sua benedizione: nei maggiori Paesi sviluppati la politica monetaria può, deve, diventare ancora più espansiva, malgrado il diluvio di liquidità già scatenato dalle banche centrali. E così sarà, anche se questa volta occorrerà cambiare qualcosa e avviarsi verso territori inesplorati. Soprattutto in Eurolandia.
Il nodo della questione è tutto qui. Nella Uem «la politica monetaria - ha spiegato l’Fmi - può svolgere il ruolo di rendere più semplice la fase di transizione» che si completerà quando le riforme potranno dispiegare tutti gli effetti. La Bce, non a caso, ha ridotto i tassi a luglio, ha discusso di un nuovo taglio giovedì - pur ritenendo i tempi non ancora maturi - e ha tenuto la porta aperta a nuovi interventi. L’attenzione dei mercati è tutta diretta agli acquisti di bond, che comunque sarebbero di aiuto anche per l’economia reale, ma sarebbe sbagliatissimo sottovalutare la politica monetaria classica e le sue esigenze.
Sembra infatti che tutto sia semplice e chiaro, in questo campo, ma non è così. Innanzitutto un taglio del costo del credito Bce dallo 0,75% allo 0,50% - per il momento è di questo che si parla - è poca cosa, potrebbe non bastare. Sembra inoltre escluso che i tassi sui depositi versati dalla Bce alle aziende di credito, oggi a quota zero, possano diventare negativi come in Danimarca e, qualche anno fa, in Svezia («È un mare inesplorato», ha detto il presidente Mario Draghi): qui non sembra esserci spazio per "andare oltre". Poi c’è il vero problema: il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’economia reale è rotto. La Bce ha tagliato i tassi e inondato Eurolandia di liquidità, ma le aziende di credito non se ne sono accorte. Una ricerca di Greg Fuzesi di JPMorgan mostra che le banche in media chiedevano a giugno, per un primo prestito, il 2,89%, circa 2,5 punti percentuali in più dell’Eonia a tre mesi (0,27%). Prima della crisi questo spread era la metà, un anno fa era di 0,60 punti più basso. Lo stimolo monetario, insomma, non si è trasmesso all’economia.
Per tre volte, giovedì scorso, Draghi ha parlato di «riparare il meccanismo di trasmissione»: la Bce è ben consapevole del problema. È per questo stesso motivo che i rendimenti dei titoli di Stato sono così diversi tra Paese e Paese. Dietro la rottura della cinghia della politica monetaria ci sono motivi strutturali, che sfuggono al controllo della banca centrale - e chiamano quindi riforme - ma la Bce qualcosa può e deve fare. «Noi ci aspettiamo requisiti meno rigidi per i collaterali - spiega Fuzesi - e nuovi Ltro», le iniezioni di liquidità di lunga durata. Altrettanto necessari, aggiunge, sono però la riduzione delle incertezze - e questo tocca ai politici - e la ricapitalizzazione delle aziende di credito per ridurre il costo del capitale: «L’irrigidimento del credito non è più legato principalmente alle difficoltà di finanziamento delle banche», spiega Fuzesi.
La sostanza delle cose, comunque, resta la stessa: occorre che la liquidità scorra in Eurolandia, dove l’offerta di moneta è troppo lenta rispetto alle necessità dell’economia che - non a caso? - frena a sua volta, e minaccia di far rallentare anche i partner. Anche la Fed, e proprio in risposta alla crisi della Uem - oltre alle difficoltà fiscali degli Usa - si è detta pronta ad agire, con un senso di urgenza che ha lasciato presagire l’avvio di una nuova fase di acquisti di Bond. Anche in questo caso il Fondo monetario si è detto d’accordo: gli Stati Uniti hanno comunque spazio per un’ulteriore "allentamento", ha spiegato l’Fmi, che «potrebbe indebolire il dollaro ma avrebbe ricadute positive per il rafforzamento dell’economia americana». Gli ultimi, discreti, dati sull’occupazione hanno alimentato, tra gli economisti, l’idea che la Fed aspetterà ancora; ma gli indici sull’attività economica restano "in zona contrazione": lo scenario non è ancora univoco. Più chiara invece la situazione in Gran Bretagna, che va peggio del previsto, anch’essa a causa delle difficoltà di Eurolandia. Qui una nuova tranche di acquisti di titoli di Stato sembra quasi scontata, mentre il Fondo monetario ha suggerito un taglio dei tassi, oggi allo 0,50%, che potrebbe avere effetti superiori a quanto si pensi.
Se il mondo è alla vigilia di una nuova ondata di liquidità non potranno che riemergere però gli interrogativi sui costi di queste politiche, che non mancano. L’Fmi non li nega - la politica monetaria incide sempre su cambi e quotazioni e in un certo senso li distorce - ma ridimensiona la possibile diffusione dei rischi: le analisi empiriche mostrano che gli effetti sui rendimenti dei Paesi emergenti si riducono man mano che l’espansione della liquidità aumenta, mentre quelli sui prezzi delle materie prime sono bassi. Il tema non va dimenticato ma, come ricorda il Fondo, in momenti di «quasi collasso», nessuno ha protestato quanto la Fed ha lanciato il suo quantitative easing nel 2008, o la Bce ha immesso mille miliardi di liquidità tra 2011 e 2012.