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 2012  agosto 05 Domenica calendario

QUANDO CIAMPI VOLLE IL NUOVO AMBROSIANO

«Non concedo nulla». È un appunto "alla Tacito" quello vergato nel diario di Carlo Azeglio Ciampi, in una delle ore più concitate del lungo weekend del Banco Ambrosiano. Venerdì 6 agosto 1982 il Vecchio Banco segue Roberto Calvi nel suo destino e la mattina di lunedì 9 riaprono 107 filiali di un nuovo istituto, presieduto da un 49enne giurista e avvocato bresciano: Giovanni Bazoli. Quel giorno comincia, in realtà, «Una storia italiana»: è il titolo - ormai definitivo - della "biografia di una banca" che Carlo Bellavite Pellegrini, docente di finanza aziendale alla Cattolica, sta ultimando per Il Mulino dopo quattro anni di ricerche.
Dal Banco Ambrosiano a Intesa Sanpaolo: trent’anni, unificati dalla continuità di Bazoli alla presidenza (il libro li ripercorre fino all’inizio del 2007). Anni fittamente ramificati nella grande vicenda, non solo finanziaria, dell’intero Paese. Leggibili dallo storico decrittando cifre e documenti, ma in via sempre privilegiata attraverso la memoria dei protagonisti. E la «storia italiana» raccontata da Bellavite Pellegrini ha potuto avvalersi di una testimonianza d’eccezione( oltre naturalmente a quella della stesso Bazoli): quella di Carlo Azeglio Ciampi.
Il presidente emerito della Repubblica, in quella difficile estate dell’82 è da tre anni Governatore della Banca d’Italia: la crisi dell’Ambrosiano è la sua prima prova impegnativa da responsabile di vertice della Vigilanza. I contatti con tutti quelli che sono coinvolti nel salvataggio della più grande banca privata italiana dell’epoca si fanno via via frenetici: con Bazoli, con Vincenzo Desario, commissario provvisorio del Banco, con il ministro del Tesoro, Nino Andreatta, con i banchieri "cavalieri bianchi" pubblici e privati. Ciampi non smette tuttavia di tenere con metodo il suo diario fra registrazioni operative, commenti a caldo, pensieri. «Preciso, nitido, lineare, qualche volta tagliente», dice Bellavite Pellegrini, che ha potuto consultare liberamente tutte le pagine riguardanti le vicende del gruppo milanese negli anni.
Alle battute finali della cessione di attività e passività dal Vecchio al Nuovo Banco è inevitabile che il confronto attraversi passaggi aspri. Il Professore ha già raccontato come Comit e Credit (le due Bin milanesi azioniste di Mediobanca) interpellate da Via Nazionale non abbiano accettato di far parte del "pool" degli azionisti del Nuovo Banco (entrano invece Imi, Bnl e sin d’allora San Paolo Torino: ma non con forza prevalente rispetto ai privati San Paolo Brescia, Bpm, Rolo, Banca Agricola di Reggio Emilia). La cronaca ha via via riportato molti echi di quel confronto: un’ipotesi sul tavolo è che La Centrale (la finanziaria controllata dal Vecchio Banco alla quale fanno capo Banca Cattolica del Veneto, Credito Varesino, Toro e Rizzoli) venga scorporata subito e lasciata ai liquidatori. È Ciampi a non deflettere mai da due capisaldi: il Nuovo Ambrosiano dovrà affrontare una ristrutturazione radicale, ma al momento della sua rinascita va rispettato nel suo controllo privato e nella sua integrità. Il Governatore sa che il Nuovo Banco dovrà rinunciare a alcune partecipazioni (come Rizzoli, su preciso mandato della Banca d’Italia) e prevede che una radicale ristrutturazione dovrà inizialmente sacrificare anche il business bancario e assicurativo (come poi avviene con la cessione di Toro e Credito Varesino). Ma il Governatore non vuole privare in partenza Bazoli della chance di riavviare una «storia italiana»: quella che è radicata già a fine ’800 e che rifiorisce a fine anni 80 con la fusione della Cattolica e la nascita dell’Ambroveneto. Quella che entra nella corrente principale dell’unione monetaria con l’aggregazione di Cariplo in Intesa, poi con l’operazione Comit, infine con la fusione alla pari con il Sanpaolo.
«Non si registrano discordanze fra fonti interne ed esterne, pubbliche e private», sottolinea Bellavite, già autore di una «Storia del Banco Ambrosiano» (Laterza, 2001). Con Ciampi Governatore, l’Ambroveneto affronta il primo tentativo di aggancio alla Comit da parte di Mediobanca (respinto grazie all’intervento del Credit Agricole, gradito a Bankitalia). Nel ’94 Ciampi ha invece già concluso il suo mandato di premier tecnico quando la Comit, appena privatizzata, attacca ancora, ma viene nuovamente tenuta a distanza dal nucleo del patto Ambroveneto. «È forse il passaggio più impegnativo fra Banco e Comit fra i cinque ricostruiti nel libro», rammenta l’autore. Seguirono il testa a testa a testa per l’aggregazione di Cariplo (1997), l’Opa amichevole di Intesa sulla Comit (1999) e la decisione di fondere Piazza della Scala (2000), anche al prezzo di rinunciare alla partecipazione in Mediobanca.
I rapporti fra Bazoli ed Enrico Cuccia rappresentano uno dei più classici «segreti» della storia del capitalismo italiano: il libro in arrivo racconta qualcosa di ancora inedito? «Dopo lo scontro del ’94 - accenna Bellavite, anticipando il volume - la relazione fra i due banchieri diventa importante, anche sul piano personale e intellettuale». È Bazoli che affronta con il patron di Via Filodrammatici possibili avvicinamenti fra l’Ambroveneto e la Comit, gettando le premesse dell’operazione del ’99 (dopo l’Opa ostile di UniCredit). È Cuccia che, nel ’96, accorda immediatamente un appuntamento al presidente dell’Ambroveneto, che aveva appena perduto tragicamente il fratello Luigi. Neppure il tempo di ringraziare Cuccia, e il presidente onorario di Mediobanca dice a Bazoli: «Professore, nessuno meglio di me può comprendere il suo dolore: pochi giorni fa è morta mia moglie, eravamo sposati dal 1939».
Quattro anni dopo il distacco di Intesa da Mediobanca coincide con la scomparsa di Cuccia. Resta uno dei grandi bivi della storia finanziaria italiana recente. Bazoli, dal canto suo, stava affrontando l’integrazione della Commerciale con qualche difficoltà inattesa, rilevata dal nuovo volume nel titolo del capitolo riservato: «Un’eredità senza beneficio d’inventario». «Dalla storia del Nuovo Banco che diventa Intesa Sanpaolo emerge in modo evidente quanto decisivo sia il ruolo delle persone nelle imprese e nei mercati finanziari. Senza contare a lungo su una figura come quella di Ciampi, Bazoli non avrebbe potuto costruire - da presidente-garante di tutti gli interessi particolari e generali - una grande banca italiana in Europa, solida anche dopo la crisi globale». Bellavite, studioso di corporate governance, non ha certo rinunciato a scrivere la sua «storia italiana» come case-study aziendale: tutti i top manager alternatisi in Piazza Ferrari e poi in Via Monte di Pietà vi hanno lasciato la loro impronta. Il libro le ha rilevate puntualmente: ma non è certo l’unica curiosità che sta già suscitando.