G. Pl., Il Sole 24 Ore, 6 agosto 2012
NEL DERBY ROMA-FRANCOFORTE L’ITALIA STA VINCENDO DA 15 ANNI
Grazie alla full immersion quotidiana offerta da giornali e siti di informazione, lo spread sembra ormai uno di quei temi di cui si parla da sempre. Eppure il differenziale di rendimento tra titoli governativi italiani e tedeschi gode di vasta fama soltanto da 13 mesi, da quel giugno 2011 che per questo indicatore ha segnato l’inizio di una stagione di tensione ancora non esaurita. Notorietà fresca, dunque, ma ormai davvero larga, perché alimentata dai livelli elevatissimi, spesso oltre i 500 basis point, mantenuti in questa fase. Peccato che, in questo caso, celebrità e conoscenza approfondita non vadano d’accordo. Succede così che questo indicatore venga spesso considerato l’unico giudice infallibile e inappellabile per valutare operato di governi e stato di salute di conti pubblici ed economie.
«In realtà - spiega Giovanni Ajassa, responsabile dell’Ufficio studi Bnl/Gruppo Paribas in un recente Focus - lo spread è importante, però non è tutto. E non può, soprattutto, esaurire in sé la portata delle analisi sullo stato di salute e sulle prospettive dell’economia italiana».
Un rimedio per evitare asimmetrie di giudizio può venire dall’allargamento dell’orizzonte temporale. La storia dello spread, e quella più significativa della sostenibilità complessiva del debito pubblico, hanno infatti radici ben più profonde, anche se fino alla scorsa estate il tema era seguito solo da una ristretta cerchia di esperti e da un pubblico specializzato. Scavando nel passato le sorprese non mancano. «Tra il 1996 e il 2011 - riprende Ajassa – la differenza tra il tasso di crescita dell’economia e il costo del debito pubblico è stata mediamente negativa sia in Italia sia in Germania. Contrariamente a quello che si potrebbe ritenere, nella media degli ultimi 15 anni lo spread negativo della crescita nominale rispetto al costo del debito è stato maggiore in Germania che in Italia. La situazione si è invertita solo negli anni più recenti».
Naturalmente la spinta decisiva per imboccare una via virtuosa arriva unicamente da politiche fiscali in grado di generare avanzi primari nel bilancio degli Stati e anche in questo caso Roma vince il confronto con Francoforte. Ancora Ajassa: «Gli avanzi primari generati dall’Italia nella media 1996-2011 e anche nella media dell’ultimo quadriennio si sono rivelati superiori a quelli della Germania».
Naturalmente non si tratta di fare sterili esercizi di patriottismo o, peggio, di minimizzare la pericolosità della condizione attuale. Vista la mole del debito pubblico italiano, uno spread più elevato di 200 punti significa un aggravio in conto interessi pari ad alcune decine di miliardi di euro ogni anno, da ripianare a suon di tagli e manovre lacrime e sangue.
Nell’immediato le preoccupazioni restano dunque tutte e intatte. Tanto più che si prevedono settimane critiche: «Nel breve - conclude infatti il Focus Bnl-Paribas - la stabilizzazione del divario di rendimento tra BTp e Bund rimarrà difficile, almeno fino a quando le transazioni su quei titoli resteranno relativamente esigue e fortemente speculative. A maggio gli scambi giornalieri si sono fermati poco sopra gli 800 milioni di euro, rispetto agli oltre due miliardi di un anno prima».
Una premessa che, considerato l’ulteriore assottigliamento dei volumi tipico di agosto, non depone a favore di giorni tranquilli.