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 2012  agosto 05 Domenica calendario

INTERCETTAZIONI, PRONTO IL TESTO SEVERINO “MA VOGLIO ANCHE L’ANTI-CORRUZIONE”


Al Pdl, che preme per avere la legge sulle intercettazioni entro la fine della legislatura, il ministro della Giustizia Paola Severino ha risposto giusto due giorni fa con inusitata fermezza: «Il governo Monti ha una priorità, la legge anti-corruzione. Sia chiaro che se quella non accelera il suo iter e non passa definitivamente, le intercettazioni restano ferme là dove sono adesso». Se invece, a settembre, arriveranno concreti segnali di buona volontà sull’anti- corruzione, una legge che attende il sì dalla primavera del 2010, anche quella sugli ascolti ricomincerà a marciare speditamente.
Il segretario del Pdl Angelino Alfano e l’avvocato del premier Niccolò Ghedini hanno storto il naso, ma al Guardasigilli non sono riusciti a strappare una sola promessa in più. Anche se è evidente che, dopo le telefonate dell’ex ministro Mancino al Quirinale, che hanno costretto il capo dello Stato a ricorrere alla Corte costituzionale, il dossier delle intercettazioni è in bella evidenza sul tavolo del ministro. E un nuovo testo è già pronto.
La linea di Severino è chiara. Riassumibile così: «Il vecchio testo Alfano è ormai ingestibile per via delle parti che, in doppia lettura tra Camera e Senato, ormai non sono più modificabili. Una buona riforma presuppone invece grande libertà di movimento in una materia così complessa e in cui sono in ballo più diritti in contemporanea». Chi frequenta via Arenula sa appunto che, nei cassetti di Severino, una nuova proposta c’è già, ma il Guardasigilli non è disposta ad alcuna deroga rispetto alla sua scala di priorità. Anti-corruzione, disegno di legge sulle
pene alternative e intercettazioni sono tre vagoni che viaggiano sullo stesso treno. Ma Severino ha sempre mal visto una politica dello scambio tra una legge e l’altra e vuole evitare che se ne creino anche le condizioni.
La strada rischia di essere quindi tutta in salita e di vanificare, in assenza di un preciso e formale impegno del Pdl, qualsiasi sforzo per avere una legge sugli ascolti. Basti pensare che le norme contro la corruzione, votate alla Camera a metà giugno, non hanno praticamente
mosso passo al Senato. Una sola seduta a settimana e nessuna voglia di accelerazione da parte della commissione Affari costituzionali, nonostante le pressioni del Pd e dell’Idv. Con questo ritmo, e visto che il Pdl pretende per forza delle modifiche, l’anti-corruzione non ce la farà mai a diventare
legge prima del voto
politico del 2013.
E p pure —
questo va detto per verità di cronaca — non c’è solo il Pdl stavolta a premere per intervenire sugli ascolti. La frontiera dei “no” resta ferma e al primo posto vede schierata la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che con il presidente Roberto Natale non ha mancato giorno per rintuzzare i tentativi di tappare la bocca ai cronisti. Ma sul fronte opposto — ovviamente con i necessari distinguo — stavolta c’è il capo dello Stato in persona, furibondo dopo il caso Palermo e con addos-
so il rischio incombente che la sua privacy istituzionale venga violata per via di intercettazioni che sono già state lette e tuttora si trovano all’interno di un fascicolo.
Napolitano ha sempre sollecitato una riforma bipartisan, costretto però a respingere la voglia di bavaglio del Pdl. Dell’esasperazione del Colle si è fatto interprete il vice presidente del Csm Michele Vietti che, in un paio di interviste, ha riproposto il nodo delle telefonate che coinvolgono, assieme all’indagato, anche persone che non sono sfiorate da una responsabilità penale nell’inchiesta. Sono quelli che, in gergo e con una brutta espressione, si definiscono “i terzi”. È di questi che si vorrebbe tutelare la privacy. Va da sé che l’operazione è difficilissima e rischia di portare con sé un inevitabile bavaglio. Basta pensare alla mole di intercettazioni in un’indagine e alla frequenza con cui un indagato discorre con persone che non vengono affatto iscritte nel registro. Che fare in fase di deposito per tenere riservati quegli interlocutori? Cancellare il dialogo? Omettere i nomi? Buttare via tutto?
È diventato questo il capitolo principale su cui riflettere e che — si sta pensano in via Arenula — potrebbe anche trasformarsi in uno stralcio di legge autonoma, nel quale inserire un elemento chiarificatore sulla delicata questione delle telefonate indirette che coinvolgono il capo dello Stato. Un modo per anticipare il futuro verdetto della Consulta sul conflitto Quirinale- Palermo, soprattutto se essa fosse orientata a scrivere una sentenza in cui segnala un vuoto normativo nella legge dell’89 che detta le regole sulle intercettazioni dirette del capo dello Stato.