Maurizio Crosetti, Repubblica 5/8/2012, 5 agosto 2012
NOVANTANOVE COLPI AL CUORE
A SETTE anni sparava con il fucilino ai piattelli che le lanciava la mamma come un frisbee, a diciassette era già campionessa d’Europa e del mondo.
A venti ha mirato a un bersaglio grosso come una medaglia d’oro olimpica. Jessica Rossi ne ha fatti fuori 99 su 100: record mondiale. E mica di striscio, come a volte accade. Li ha proprio spappolati.
Novantanove Ufo arancioni che decollavano senza mai atterrare. Pùm, un colpo secco e via. Magra come una canna di fucile, questa biondina di ghiaccio si scioglie soltanto dopo l’ultimo sparo per dedicare, lei di Crevalcore, la vittoria ai terremotati dell’Emilia, compresi papà e mamma ancora nel container. Una bella storia e una bellissima faccia di donna, non di velina, la coda di capelli che le esce dal berretto, lo sguardo appuntito
che le sbuca dagli occhi, il sorriso che le sgorga dal cuore quando alla fine canta l’inno di Mameli, poropò compreso. «Mi è venuto da ridere ».
Giocare con le cartucce invece che
con le bambole ha il suo perché, si diventa Calamity Jane e non Barbie. Però è mostruoso il modo, una progressione senza eguali nella storia di questo sport, e dire che Jessica fino a due anni fa non aveva neanche il porto d’armi: i fucili li dovevano intestare ai compagni.
Fenomeno assoluto, debuttante ai Giochi, le colleghe la raccontano come un simpatico marziano, tipo Alessandra Perilli che arriva
quarta sfiorando la prima medaglia nella storia di San Marino. Invece la seconda è una slovacca che a un certo punto se la fa sotto e la terza una francese di 39 anni, quasi il doppio
di Calamity Jessica. Prodotti di epoche giurassiche rispetto alla precocità da Mozart della nostra ragazzina. Nella finale del “trap” alle Royal Artillery Barracks poteva tremarle il dito sul grilletto,
invece niente, ha sbagliato un piattello solo, nelle qualificazioni del mattino neppure quello: 75 su 75. E si tratta di centrare un affare volante che viaggia ai cento all’ora, grande come un cd e
pesante quanto un cartoccio di prosciutto. Jessica spara 25 mila cartucce all’anno per diventare così, spaventosa e umanissima, feroce e giuliva. Niente l’ha turbata, non il vento che si alzava a
scatti, non il sole che durava trenta secondi per lasciare il posto a una coperta viola di nuvole molto british. E strani riflessi ovunque, colori che cambiavano di botto, sfondi che sfumavano
l’orizzonte: ma Jessica sempre immobile, impassibile, intoccabile, 55 chili di nervi e pupille. Avanti e indietro con la mano in tasca, il fucile piegato sulla spalla, portato con noncuranza come un golfino, poi imbracciato come fanno i maschiacci nelle paludi a caccia di folaghe, o nei poligoni con le cuffie sulle orecchie e i cubetti di ghiaccio intorno al cuore per non ascoltare niente, per non sentire.
La bimba che giocava con i pallini di piombo è rimasta in testa dall’inizio alla fine, dall’alba fino all’ora del tè, ed è pure andata in fuga vincendo l’oro con quattro piattelli d’anticipo, in uno sport dove di solito si decide tutto all’ultimo sparo ed è questione di centimetri. «Ragazzi, questa è una faccenda di sinapsi », butta lì il suo psicologo Roberto Re, anche se – perdonateci, se potete – adesso si dice “mental coach”. «Con Jessica si è lavorato tanto per immaginare questa gara, per reggere l’impatto nervoso: la testa si allena come un muscolo. Abbiamo ricreato le condizioni di una finale immersa nel rumore, con due idee fisse: oro olimpico e record del mondo». Difatti. Ma la sensazione è che Jessica vincerebbe pure con un allenatore isterico, sparando bendata e cantando le canzoni di Emma o Alessandra Amoruso, le sue preferite.
E quando le chiedono come s’immagina la sua nuova vita e cosa farà adesso, lei risponde i campionati italiani. Neanche una lacrima, solo una gran voglia di risate, un fidanzato pure lui tiratore (si chiama Massimo), il coniglietto Cocco che l’aspetta a casa e la fortuna di avere sbagliato almeno un colpo, quella sbavatura che dà un senso al futuro. Altrimenti, sai che noia domani.