Valerio Magrelli, Repubblica 5/8/2012, 5 agosto 2012
SE N’È ANDATO NICOLINI SOGNATORE METROPOLITANO
NON adottiamo quegli spettacoli che rinchiudono tristemente poche persone in un centro oscuro, tenendole timorose e immobili nel silenzio e nell’inerzia”. Chi sa se Renato Nicolini, architetto, docente, assessore, ma soprattutto mirabile inventore dell’Estate romana, avrà avuto presenti queste parole che Jean-Jacques Rousseau scrisse oltre
due secoli fa.
IL GRANDE filosofo ginevrino voleva condannare il teatro e ogni tipo di intrattenimento basato sulla passività del pubblico. In questo, il suo teatro ricorda molto da vicino il nostro cinema (per non parlare di televisione...). Ebbene, a tutto ciò veniva opposto un ideale di gioioso rito collettivo, cui far partecipare l’intera comunità.
Detto altrimenti: una cittadinanza non può restare unita soltanto per ragioni di interesse. L’esistenza comune richiede un rapporto emotivo. Un popolo felice deve saper ritrovare la sua coesione nei giochi, nei divertimenti: «Piantate in mezzo a una pubblica piazza un palo coronato di fiori, ponetevi intorno un popolo, e otterrete una festa ». In tal modo, ha spiegato Paolo Apolito seguendo le ricerche di Mona e poi Ozouf, la festa assume addirittura il compito di «rendere evidente, eterno, intangibile il nuovo legame sociale».
Certo, un simile discorso sembrerà preso un po’ troppo alla larga, eppure, per apprezzare il progetto di Nicolini, occorre ricostruirne la genealogia. Infatti, sotto la cappa degli Anni di piombo, questo studioso in apparenza tanto svagato, ebbe l’idea acutissima e letteralmente rivoluzionaria
(nel senso del suo prototipo francese) di trapiantare la festa nel cuore della metropoli moderna, e al contempo di riappropriarsi della notte, ossia di uno spaziotempo che il terrorismo aveva
progressivamente convertito in mesto «coprifuoco». Ebbene, Nicolini «scoprì quel fuoco », lo fece divampare, ma senza più violenza, anzi, nel segno della pura euforia dionisiaca, con balli, canti, letture.
Chi non ricorda la tre giorni di poesia sulla spiaggia di Castelporziano, organizzata da Franco Cordelli nel 1979? Autori italiani e stranieri, il falso annuncio di un concerto di
Patty Smith, trentamila spettatori vocianti, l’assalto al cibo e al palco, il crollo di quest’ultimo, la magica apparizione di Allen Ginsberg che, trasformato in Orfeo, placa con un suo mantra la folla inferocita.
E in tutto ciò, al largo, una petroliera in fiamme (o erano due? oppure stiamo entrando in «Apocalipse now»?). Così, fra dada e pop, il teatro fagocitò la poesia, dando vita ad una sensazionale performance.
Ma Nicolini era questo, un apprendista stregone, anche se danni non ne fece mai. Nel frattempo nei parchi cittadini, da Villa Ada a Villa Borghese, e in mezzo ai più maestosi monumenti, la città ritrovava umanità e insieme unanimità.
Se tutto ciò è vero, risulterà evidente che il suo capolavoro fu il rilancio del teatro e del cinema all’aperto. Ai testi di Peter Brook recitati nelle vie del quartiere Prati, rispose il film «Senso» di Visconti, proiettato nell’agosto 1977 sotto le volte della Basilica di Massenzio. Non più poche persone, timorose, immobili, inerti, silenziose, chiuse in un centro oscuro, bensì una folla raggiante e scatenata, vivace e rumorosa, raccolta in platee immense e luminose. Altro che Effimero! Quello che alcuni chiamarono così, fu in realtà la vittoria di Rousseau.