Mario Baudino, la Stampa 6/8/2012, 6 agosto 2012
CARA PAGINA, ADDIO IL FUTURO È LA NUVOLA
Giulia Ichino non è figlia d’arte, ma per certi versi è come se lo fosse. Trentaquattro anni, un bambino di tre, un marito musicista e una famigliona molto impegnata alle spalle: non solo il padre, che è il noto giuslavorista e senatore del Pd, ma certe nonne e prozie terribili, che quando stavano a Torino si vantavano di essere le uniche in grado di farsi aprire i musei a mezzanotte. Su tutte c’è però la nonna matriarca ebrea (benché convertitissima) che ha fatto il giudice e l’avvocato per tutta la vita, cattolica di sinistra, amica di Don Milani, tanti figli intorno e un’etica del lavoro che si materializzava nell’assioma: «Ognuno ha i livelli di inefficienza che è disposto a tollerare».
«Lo ripete spesso anche mio padre - dice consultando lo smartphone in attesa di una pubblicità che deve essere subito approvata -. All’inizio non ero affatto d’accordo, ora mi rendo conto che un po’ vero». E allora, qual è il livello di inefficienza dell’editori italiana? Giulia Ichino è alla Mondadori dal 2000 (ha cominciato correggendo bozze, mentre studiava alla Statale con Vittorio Spinazzola e Gianni Turchetta, sociologi della letteratura molto attenti ai fenomeni di massa), è stata assunta a 24 anni, ha fatto il caporedattore per la narrativa (che è un ruolo essenzialmente organizzativo), la junior editor con Antonio Franchini e infine, da due anni, dopo che Franchini ha assunto il ruolo di direttore di tutta la narrativa, è responsabile di quella italiana. Fiera di lavorare per una casa editrice generalista, di quelle che tra l’altro, dice «infornano il pane quotidiano».
Bene. Parliamo di efficienza. «Io sono un po’ ansiosa, sempre preoccupata della sofferenza e del dispiacere altrui. Ricevo una quantità di proposte editoriali interessanti che è superiore alle mie capacità di esaminarle. Ogni giorno almeno 15 mail, senza contare gli agenti, gli autori noti che hanno nuovi libri o che ne consigliano di altrui. Abbiamo un bellissimo staff di lettori molto giovane, a Segrate, ma una pagina di giudizi non sempre basta. Scegliere richiede una concentrazione che è l’esatto opposto di una lettura bulimica». E quindi? «Quindi, oggi il mondo editoriale è piuttosto efficiente. Si pubblicano tante cose. E buone. Anzi, siamo nel momento più democratico che si possa immaginare, per la scrittura, anche se un sacco di gente è convinta che dietro i libri che pubblichiamo ci siano diaboliche strategie di marketing».
Non è così? «Sarebbe troppo semplice. Guardi, non riesco a capire il livore e la rabbia che circola soprattutto fra gli intellettuali contro la grande editoria. A un corso di scrittura mi hanno detto addirittura che noi di Mondadori ricompriamo i nostri libri per farli salire in classifiche. Siamo alle leggende metropolitane. Io invece rivendico la buona fede editoriale che tanti, anche addetti ai lavori, contestano. Prenda i libri della Sis». È la storica collana degli «Scrittori italiani e stranieri». «Faccia un po’ di conti: i libri di ricerca, al suo interno, sono almeno quanti ne pubblica ogni anno Minimum Fax, per dire una casa editrice molto attenta alla letteratura».
Mondadori sta preparando un progetto per sbarcare con forza nel territorio ancora parzialmente inesplorato del self-publishing , ossia la possibilità per l’autore di pubblicare direttamente e autonomamente i propri libri in formato elettronico. Da quel percorso, tanto per fare un esempio notissimo, sono uscite nel mondo anglosassone le Cinquanta sfumature di grigio - e poi di nero e di rosso - di E. L. James. Ma non è a questo che pensa la Ichino. «Ci sono scrittori di sinistra avversissimi al self-publishing . In realtà mai come oggi chi scrive ha la possibilità di farsi ascoltare».
E fra dieci anni? Il futuro dell’editoria è anche il futuro della vostra generazione di editor emergenti. «Quel che accade ci sta insegnando che il futuro sarà forse il destino della nuvola». Ovvero quello spazio immateriale, in rete, dove tenere tutti i nostri documenti. «Là avremo i nostri libri, oltre a moltissime altre cose. E allora fare gli editori vorrà dire sempre più essere gestori di contenuti più svincolati dall’aspetto fisico del libro. Sarà un mondo di letterarietà molto più fluida». Che effetto le fa un destino del genere? «Diciamo che credo sia un futuro possibile, e anche bello, dove il nostro ruolo sarà creare dei contenuti, più ancora che commerciali, di valore, di senso. L’editore deve trovare la sua misura. Pensare di farlo al cospetto dell’eternità mi sembra una forma di arroganza». Detto questo, quant’è davvero vicino questo futuro? «Non vicinissimo. Il lettore italiano al momento vuole un’offerta solida e strutturata. Lo vediamo dalle stesse classifiche di vendita in quest’anno di crisi: libri sicuri di autori consolidati, oppure low-cost . Almeno in campo italiano, nessun fenomeno nuovo si è imposto con forza».
Sembrano anche spariti i giga-seller , i titoli da milioni di copie in breve tempo. Sfumature di grigio a parte, pochi libri superano le centomila copie, tantissimi restano al di sotto delle diecimila. Che cosa sogna un editor? «Ottimi libri da 20-30 mila copie. Proprio per questo penso che un futuro sempre più digitale, dove ci si libera dall’incubo delle rese e del fuori catalogo, possa portare tanti lettori a tanti libri. Magari con meno best seller, e con più opere che vengono lette e discusse». Le rese sono le copie invendute che i librai rispediscono agli editori, fonte inesauribile di cattive sorprese per tutti (capita così che gli autori credano sulla base dei primi dati che il loro libro vada in un certo modo, magari benino, per scoprire poi in sede di consuntivo che ha venduto pochissimo), e spesso un vero incubo che grava sui bilanci, nonostante sistemi sempre più raffinati di monitorare l’andamento dei mercati.
Ma un futuro senza rese, non sarà anche un futuro senza librerie? «Non credo nell’estinzione del libro cartaceo, e non tutte le librerie meritano di essere visitate. Fra le grandi, penso che alcune proprio non le rimpiangerei, se dovessero chiudere». E fra le piccole? Giulia Ichino sorride, perché nei suoi frenetici tour ha fatto anche lì delle belle scoperte: per esempio Giuseppina Torregrossa, capelli rossi e sigaro in bocca, nella libreria di Matera durante il Women’s fiction festival. Gliela indicò il libraio. Lesse L’assaggiatrice , pubblicato da Rubbettino editore universitario per nulla adatto a un romanzo - e l’arruolò seduta stante. Nasceva un nuovo autore destinato a fare molta strada. A Matera (dove ha trovato anche la critica d’arte Emilia Marasco: un’ottima zona di caccia) l’editor tornerà ovviamente, come ogni anno, dopo le vacanze, a settembre. Un mese in cui sarà anche a Venezia per il Campiello, a Mantova e a Pordenone. Mestiere difficile per una giovane mamma? «In generale, è sempre difficile essere una donna che lavora tanto».