Luca Bergamin, la Stampa 6/8/2012, 6 agosto 2012
“A UN ANNO DALLA FINE DEL BULLI INSEGNO CREATIVITÀ A HARVARD”
Ferran, non «cucina» da un anno, nessunanostalgiaperl’insalatadibanana con acqua ghiacciata al mojito o i marshmallows con parmigiano? È così concentrato sulla Fondazione che aprirà nel 2014?
«Prima dovevo cambiare ogni giorno il menu, adesso posso creare più liberamente e con meno pressione. Così ho salvaguardato la passione dallo stress. Sto mettendo in Rete un diario digitale in cui spieghiamo e mostriamo come e cosa cuciniamo e così tutti i cuochi del mondo, quelli dei ristoranti ma anche chi cucina a casa, può imparare e condividere esperienze e ricette. La fondazione sarà un pozzo dal quale poter attingere, un ristorante planetario nel quale cenare insieme al resto del mondo».
Dicono che lei abbia un olfatto animalesco, sappia riconoscere gli ingredienti dal profumo anche a distanza...
«Effettivamente sono in possesso di questo dono che, per uno chef, rappresenta un grande vantaggio. Esistono migliaia di varianti dello stesso ortaggio: ogni tipologia di pomodoro ha un proprio sapore. Però il naso non basta, occorre avere un altro senso, il sesto, quello del palato immaginario, la capacità di assaggiare è legata alla tua cultura. Uno chef è anche un artista, un intellettuale, un designer, e soprattutto un bambino che non è mai cresciuto troppo e ancora sa sorprendersi, lasciarsi sugge- l Brujo non è andato in pensione. stionare dalla magia EAnche se El Bulli, il mitico ristodi un piatto, e a volte rante di Roses, in Costa Brava, in farsi ingannare». cui, come in una rappresentazio- Il Barcellona di ne teatrale, prenotata anche con Guardiola ha un cal- due anni di anticipo, si gustavano cio che assomiglia le 35 portate, servite ogni sette alla sua cucina, non minuti, del menù composto da trova? cocktail, stuzzichini secchi e fre«La cucina è come il schi, tapas, avant-dessert, despallone, sempre sulla sert e pasticcini schiumosi chiabocca di tutti. Io ho mati «Morphing», è chiuso e riagiocato in terza divi- prirà nel 2014 sotto forma di fonsione, nel Santa Eulalia, sognavo di calcare il prato del Camp Nou, a un esteta come me vedere i blaugrana far muovere la palla dà lo stesso piacere che provo quando i miei commensali sono felici alla fine di un pranzo».
La sua cucina a El Bulli sembrava un po’ una caserma, i suoi «cocineros», divisitrarepartodolceesalato,stavano silenziosi, rigidi e impettiti al suo cospetto, quasi si trovassero di fronte a un generale. Del resto la prima cucina che lei ha diretto è stata quella dell’esercito.
«Era quella della Marina di Cartagena. Avevo lasciato gli studi di economia che decisamente non facevano per me. Prima finii a fare il lavapiatti in un hotel di Castelldefels in Catalodazione, nella pentola di Ferran Adrià, stregone della cucina molecolare, bolle sempre qualcosa. Quel suo sguardo luciferino, la voce da baritono, quelle mani che muove vorticosamente come le pale di un mulino quando è preso dall’ansia di farti capire un concetto, le frasi che mozza all’improvviso lasciandole sospese, appariranno sugli schermi di tutto il mondo nel film che Hollywood sta per girare, tratto dal libro di gna, solo per raggranellare i soldi necessari per trasferirmi a Ibiza, dove trascorsi il mio periodo più libertino. Poi, quando rimisi la testa a posto e tornai a Barcellona, assunto al Ristorante Finisterre, mi arrivò la cartolina. In Marina ho letto tanti manuali di cucina e ho capito che ci vuole disciplina per comandare una squadra di cuochi».
Però i suoi aiutanti sembrano in preda al terrore di sbagliare un piatto...
«Nella vita si ottengono risultati solo col rigore, chi non rispetta certe regole si perde per strada. Prima ero più rigido, ora mi sono calmato, saranno i 50 anni, sarà che adesso non ho più la pressione di dover sempre cambiare la cucina per restare al vertice. Per carattere preferisco restare chiuso nel Bulli Taller di Calle Portaferissima, il mio laboratorio privato di Barcellona in cui creo i piatti e studiare, sperimentare con le siringhe e i sifoni per la sferizzazione, l’azoto liquido, le schiume, e gelatine. Sono un solitario».
La sua cucina molecolare ha fatto scuola, ora è imitata da tanti cuochi nel mondo. Le fa piacere?
«Io non sono uno stregone, la mia cucina è tecno-emozionale, non molecolare. I cuochi devono utilizzare gli strumenti della tecnologia, ma io comunque vado ancora al mercato di Roses in Costa Brava e alla Boqueria di Barcellona per comperare la verdura».
Èdiventatofamosocomeunarockstar, ha esposto a «documenta 12» di Kassel e al Palau Robert di Barcellona. Telefonica le fa girare il mondo come ambasciatore del suo marchio. Se gli chef ora sono star è anche «colpa» sua. Le piace questa nuova, planetaria notorietà?
«La gente pensa che mi piaccia apparire, in realtà non è così. Però se stessi chiuso sempre ne El Bulli Taller direbbero che sono rimasto senza soldi e non oso più uscire in strada per la vergogna. La mia risposta è sempre e solo il lavoro. La fama comporta molta più responsabilità, bisogna dare un esempio».
René Redzepi, uno dei ragazzi di El Bulli, le ha «scippato» lo scettro di miglior cuoco del mondo. Lo chef danese porta in tavola le formiche vive: è Lisa Abend, corrispondente in più pazzo di lei? Spagna della rivista «Time». «I migliori cuochi di ogAdriá ora può vantare, oltre a tre gi sono passati dalla stelle Michelin, altrettante lau- mia cucina, e questo ree honoris causa. L’abbiamo in- vuol dire che non sono contrato mentre stava ultiman- un sergente di ferro, do i lavori per trasformare il ri- ma un bravo insegnanstorante di Roses nella sede di te. René fa quello che ElBullifoundation.org, un’istitu- facevo io tanti anni fa: zione che lui immagina destinata utilizza solo i prodotti a rivoluzionare, un’altra volta, il della sua terra, con una concetto di fondo della cucina coerenza e creatività in mondiale. cui io mi ritrovo benissimo. Se da tre anni vince il San Pellegrino World’s Best 50 Restaurants non posso che essere contento per lui. Comunque, sono ancora in vantaggio per 5 a 3».
Che cosa insegna a Harvard?
«Il mio è il corso facoltativo di “efficacia della creatività”. Gli americani hanno bisogno di imparare a mangiare e cucinare bene, tra qualche anno saranno bravissimi perché sono diligenti, apprendono velocemente».
Ce l’ha tempo libero? Che cosa fa?
«Pratico il giardinaggio, nel prato selvaggio della mia casa di fronte a El Bulli, nella casa di Montjoi, dove bisogna domare agavi, fichi d’India, eucalipti, pini marittimi, mi aiuta anche per la linea. Taglio la legna, sollevo le pietre e perdo peso».
"El Bulli, il ristorante in cui è nato il mito del guru della cucina molecolare, è chiuso e riaprirà nel 2014 in una nuova forma. Ma lui, lo stregone, non si ferma mai Mi paragonano a Pep Guardiola? Il Barça mi dava lo stesso piacere di quando osservavo i miei commensali felici Da militare ho imparato tanto: ho letto moltissimo e poi lì ho capito che ci vuole disciplina per comandare una squadra di cuochi"