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 2012  agosto 06 Lunedì calendario

CIPRO, L’ISOLA DIVISA CHE SOGNA L’UNITÀ GRAZIE AL METANO

Oltre la frontiera, dove la consegna è d’essere gentili con gli stranieri, e la presenza militare visibile si riduce a un soldato seminascosto con un mitra in braccio, svanisce ogni traccia di mondo global. Passata la linea che taglia il Sud dal Nord, il greco diventa turco e l’ouzo si trasforma in raki. Finiscono le insegne lampeggianti degli Starbucks e dei McDonald’s incastonati fra alti palazzi squadrati senza fantasia. Le case si inseguono basse e scalcinate, le cattedrali gotiche sono moschee. L’orologio torna indietro di trent’anni. Nella parte settentrionale della capitale cipriota il 1974 è ancora l’anno più vicino a noi.

Sulle strette vie dell’altra Nicosia pesa l’ultimo muro dell’Unione europea, icona di un rompicapo che più facilmente s’imbroglia piuttosto che tendere a una soluzione. L’isola resta inesorabilmente divisa nonostante le promesse di dialogo dell’Onu e dell’Ue. Da un lato la comunità greca, ortodossa, meno povera, finanziariamente spregiudicata, ancorata a

Bruxelles e ai suoi privilegi, compresa una sovranità teorica riconosciuta su tutto il territorio. Dall’altro i musulmani turchi, uno Stato che esiste solo per Ankara, che paga dazi per vendere le patate a Sud, non ha voli diretti, e pullula di soldati della Mezzaluna che, per complicare la vicenda, sono addestrati in casa Nato.

Dopo secoli di equilibri precari, la bilancia si mantiene stabile al momento con 40 mila fanti della Sublime Porta a pattugliare stancamente Cipro Nord e altrettanti cittadini russi che abitano sulla costa meridionale in cerca di affari a bassa aliquota. Si confrontano a distanza, senza vedersi, dai due lati della zona cuscinetto. Gli altri si chiedono se ci sarà mai una soluzione, e se sarà più semplice ora che Cipro Sud ha trovato un giacimento di gas in acque che le carte dicono, non senza disputa, essere le «sue». Una riserva immensa. Il 50% in più di tutta la dote Ue.

In un caffè della buffer zone del Ledra Palace, Erol Kaymak, docente di Relazioni internazionali alla Eastern Mediterranean University, rivela che «nessuno ha interesse alla violenza, eppure se accadesse sarebbe per il gas». Ammette che «il metano è una chance che complica tutto». Neoklis Sylikiotis, ministro dell’Energia del Sud, rilancia: «Il gas può catalizzare la riunificazione, i benefici saranno col tempo condivisi». Il presidente Demetris Christofias, unico leader comunista dell’Ue, la presenta altrimenti: «Prima dobbiamo arrivare al federalismo».

Nessuno si fida dell’altro. Nessuno dice tutta la verità. «Sì, va bene la federazione - precisa Ozdil Nami, deputato repubblicano, principale partito di opposizione a Cipro Nord - ma nessuno ha una soluzione per le proprietà, case dei greci abitate dai turchi e viceversa». Nami prevede che nel 2013, con l’uscita di scena di Christofias, «la politica diventerà più dura». In questo, il gas risulterà cruciale. Perché la Turchia è la terra senza risorse proprie in cui devono passare tutti i nuovi gasdotti. Perché avrebbe senso che Cipro Sud attraversasse la penisola anatolica per vendere il metano, ma non ci pensa nemmeno. E dunque dovrà distribuirlo a costo più alto che da solo non può sostenere. «Ha presente il prezzo di un gasdotto sino alla Grecia?», chiede il professor Kaymak. La risposta è nella domanda: attriti in vista.

Certo è che tutti lo vogliono, e il desiderio ha trasformato il Mediterraneo in un bazar. A Cipro sono piovute 33 offerte da 15 società o consorzi (anche Eni e Enel). Le prime perforazioni se l’è aggiudicate la Noble Energy, americani. Gli europei sono in ansia, gli israeliani pressano. Mancano i russi. Ankara ha fatto pressione su Mosca per tenerla fuori. Anche se la banca di Gazprom è fra i finanziatori della francese Total.

I russi hanno invaso Limassol, hanno un giornale, una radio e una scuola. Christophias pensa di rivolgersi a loro per sanare il buco di bilancio da 15 miliardi senza le condizioni dell’Eurozona. Un rapporto che nessuno vede di buon occhio senza una ricomposizione della disputa isolana. «Si parla sempre di accordi che si stavano per fare e non del futuro - ammette Teberruke Ulucay, parlamentare repubblicano del Nord -. E intanto noi non siamo liberi. Tutto quello che possiamo fare richiede intermediari».

Rebecca Bryant, antropologa americana ormai di casa a Cipro Nord, si dichiara «senza troppe speranze per una soluzione della crisi perché non c’è una strategia». Il Nord s’è impoverito, «non ha fatto le riforme in attesa dell’unificazione»; il Sud s’è rafforzato con l’Ue. Oggi «la gente è più introversa, non crede al futuro e la crisi peggiora le cose». La verdura di Famagosta va a Larnaca con gli stessi dazi dell’insalata cinese, dice Oktay Kayalp, da 18 anni sindaco della cittadina un tempo veneziana. «A Sud non capiscono - giura -, non sanno che qui la gente è pronta a combattere un’altra guerra, stavolta per l’unificazione». Dice che la via è il federalismo, «ma “loro” non lo vogliono davvero e se avranno il gas sarà ancora più difficile». Non che sia facile adesso, non lo è mai stato, ammette la Bryant. Però «quando la ricchezza spunta dal nulla, le buone notizie diventano merce rara».