Andrea Malaguti, la Stampa 6/8/2012, 6 agosto 2012
BOMBE E LADRI DEVASTANO I TESORI ARCHEOLOGICI SIRIANI
Stanno distruggendo la storia siriana. La smontano pezzo a pezzo. E se la portano via. Moschee, templi romani, castelli dei crociati, mosaici. Un patrimonio inestimabile che nessuno sarà più in grado di recuperare. Un saccheggio selvaggio, continuo, che dopo avere raso al suolo le Città Morte del Nord, le sta tumulando per sempre, facendone sparire la mappa genetica. Esercito regolare e ribelli combattono una doppia battaglia selvaggia. E mentre si sparano addosso, saccheggiano a turno alcuni dei più importanti siti archeologici del pianeta. Per ora solo i monumenti e i musei di Aleppo e di Damasco sono stati risparmiati. Ma fuori dai due centri principali lo scempio è senza fine.
Robert Fisk, giornalista dell’Independent, racconta che anche Krak des Chevaliers, la fortezza crociata descritto da Lawrence d’Arabia come «la meglio preservata e più affascinante della terra», è stata bombardata dai soldati di Assad. La cappella interna è pesantemente danneggiata. Un’impresa che non era riuscita neppure al Saladino. È un copione che si ripete. Identico a quello già visto in Iraq.
In Siria i siti archeologici sono stati trasformati in campi militari e in hub per l’artiglieria. La terra è seminata di trincee. Niente viene risparmiato. E chi può, accumula tesori. Truppe governative hanno occupato il castello di Ibn Maan, vicino alla città romana di Palmira, e radunato i carri armati nella Valle delle Tombe. Secondo l’archeologa libanese Joanne Farchakh, «siamo di fronte a una catastrofe inenarrabile».
Negli Anni 90 il regime di Damasco aveva lanciato un piano di valorizzazione archeologica che prevedeva l’apertura di venticinque musei seminati sul corpo del Paese con l’obiettivo di attirare turisti. «Siamo ricchi, facciamolo vedere». L’anima della regione trasformata in propaganda. Nei parchi e nei giardini erano state esposte statue antiche. Un modo per dimostrare non solo la propria forza culturale, ma anche fisica, militare, la propria capacità di controllo. «Li lasciamo qui, visibili, perché in Siria nessuno ruba uno spillo». Il segno del comando si sta trasformando in una maledizione. Del museo di Homs sono rimaste soltanto le mura. I mercanti d’arte, contando i dollari, spiegano che le piazze turche e giordane si sono riempite di oggetti preziosi «improvvisamente piovuti dalla Siria».
Archeologi e specialisti occidentali dell’età del bronzo segnalano angosciati che il tempio assiro di Tell Sheik Hamad non esiste più. E la cittadella di al-Madiq, conquistata nell’1106 da Boemondo I di Altavilla principe di Taranto, «non ha più la cinta muraria». Per sradicare le lastre dei templi e del decumano i saccheggiatori hanno usato i bulldozer. Niente viene risparmiato.
Centinaia di centri greco-romani nella campagna di Aleppo, un tempo cuore intellettuale del Paese, sono stati dati alle fiamme. I ribelli si nascondono tra le rovine e i soldati li vanno a stanare con le granate in questo delirio sanguinario che sconvolge le esistenze e cancella le tracce del passato.
Fisk scrive che anonimi archeologi stanno cercando di catalogare personalmente i tesori dei loro villaggi e delle loro città. È il tentativo disperato di tracciarli, di testimoniarne l’esistenza. È la speranza, che appare quasi surreale, di chiederne un giorno la restituzione.
L’11 luglio, alla vigilia della distruzione, il primo ministro Adel Safar fece girare una circolare in cui sosteneva che il patrimonio siriano era in pericolo. «Mercanti di contrabbando in grado di usare le tecnologie più sofisticate stanno per scatenarsi sulla nostra terra». Una profezia che si è avverata. Gli accademici siriani si domandano però se non sia curioso che il primo ministro abbia anticipato il disastro. Il sottotesto è esplicito: non l’ha avvertito, l’ha innescato.
Ma quanto valgono migliaia di anni di civilizzazione, smembrati, fatti sparire e monetizzati di fronte alle morte di diciannovemila civili? Poco. Niente. O forse tutto. Perché questa follia nella follia dà il senso preciso di come una terra un tempo benedetta sia irrimediabilmente in mano a lupi dementi, la cui abitudine a uccidere e saccheggiare è diventata l’unica ragione di vivere.