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 2012  agosto 05 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CRISI VISTA DI DOMENICA


GRECIA. VA MEGLIO DEL PREVISTON (REPUBBLICA.IT)
ATENE - Uscire dalla crisi è possibile anche per la Grecia e i suoi progressi sono visibili. È l’idea di Poul Thomsen, esperto del Fondo monetario internazionale, che partecipa ad Atene alla preparazione di una nuova serie di misure di rigore per la Grecia da 11,5 miliardi di euro 1. I ministri delle Finanze e del Lavoro ellenici, Yannis Stournaras e Yannis Vroutsis, hanno infatti incontrato gli esperti di Ue, Fmi e Bce, che saranno presto di ritorno. "Abbiamo fatto progressi - ha dichiarato Thomsen al termine del meeting - e torneremo all’inizio di settembre ad Atene". In una nota la troika ha ribadito il concetto: "I colloqui con il governo greco sono stati produttivi e si è giunti all’intesa che le autorità di Atene si impegnino a intensificare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi, procedendo con determinazione".
"Le prossime settimane saranno infatti cruciali per la permanenza della Grecia nella zona Euro", ha sottolineato Stournaras al quotidiano Ethnos, riferendosi al prossimo piano di misure che la Grecia sta mettendo a punto con la troika. Pur riconoscendo che la popolazione greca è stata già sottoposta a "importanti sacrifici", Stournaras ha precisato che "scelte diverse da quelle che la logica impone, potrebbero condurci al fallimento e all’uscita dalla zona euro". E ha ricordato l’impegno del Paese per "scartare definitivamente l’ipotesi del fallimento".
Gli esperti della troika hanno invitato la coalizione di governo greca ad adottare ulteriori tagli alla spesa pubblica, tra cui salari e pensioni. Queste misure sono un prerequisito per autorizzare il pagamento a settembre della tranche da 31,5 miliardi di euro, dal secondo prestito di aiuti da 130 miliardi, e che dipenderà dal rapporto della troika sul risanamento dei conti pubblici. Entro la fine della settimana il governo dovrà decidere i dettagli e inviare un resoconto delle misure che intende adottare a Ue-Fmi-Bce.
L’esecutivo ellenico ha recentemente ammesso che la contrazione dell’economia dovrebbe raggiungere il 7% nel 2012, contro circa il 4% previsto nelle stime. Tra lunedi e martedì il primo ministro conservatore Antonis Samaras incontrerà quindi i suoi partner nella coalizione di governo, Evangelos Venizelos (socialista) e Fotis Kouvelis (Dimar), per discutere dei nuovi tagli. "Il nostro sforzo è quello di adottare misure eque ed evitare tagli orizzontali dei salari e delle pensioni", ha detto un alto funzionario del ministero delle Finanze dopo l’incontro con la troika.
(05 agosto 2012)

REPUBBLICA.IT - INTERVISTA DI MONTI ALLO SPIEGEL
ROMA - La crisi rischia di diventare anche contrapposizione politica tra i diversi paesi dell’area Ue. Mario Monti ne è consapevole, e come ha già fatto nel recente passato torna a dirsi "molto preoccupato" per i toni antitedeschi che si sono levati recentemente in Italia con le accuse alla Germania di durezza e di arroganza.
"Ho riferito al cancelliere Merkel del crescente risentimento qui in Parlamento contro l’Ue, contro l’euro, contro i tedeschi e a volte contro lo stesso cancelliere" dice il presidente del Consiglio in un’intervista allo ’Spiegel’. "Questo però - aggiunge il professore - è un problema che va molto oltre il rapporto tra Germania e Italia. Le tensioni che da anni accompagnano l’Eurozona hanno già i connotati di una dissoluzione psicologica dell’Europa. Dobbiamo lavorare duro per contrastarle".
Poi il passaggio che spiega la natura delle parole appena citate: "Se la Germania e altri Stati hanno interesse che l’attuale politica in Italia abbia un futuro" dovrebbero "lasciare più margini di flessibilità a quei Paesi dell’Eurozona che si attengono con maggior precisione alle indicazioni europee".
Sul suo rapporto personale con Angela Merkel sottolinea che è "amichevole e cordiale". "Ci conosciamo da molti anni e sono molto lieto del riconoscimento nei miei confronti da parte del cancelliere e del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, per i progressi realizzati dalla politica italiana". All’osservazione che anche Berlusconi ha rivendicato un rapporto amichevole con la Merkel, smentito però da Berlino, risponde ironico: "Allora spettiamo adesso con calma che arrivi un’altra smentita".
La Bce. Secondo Monti le preoccupazioni tedesche e del nord Europa sul fatto che gli aiuti della Bce ai Paesi deboli dell’eurozona possano rallentare i processi di riforme e risanamento "sono infondate". "Se lei leggesse le condizioni poste dai fondi salva-Stati europei o anche solo le dichiarazioni della Bce dello scorso giovedì, ammetterebbe che tali preoccupazioni non hanno senso".
La "guerra" Nord-Sud nella Ue. "Uno dei problemi più gravi ed inquietanti per l’Europa" continua Monti "è la contrapposizione tra i Paesi del Nord e quelli del Sud". "Esiste una contrapposizione frontale con reciproci rimproveri" dice, "ed è una cosa molto inquietante che dobbiamo combattere. Sono convinto che la maggioranza dei tedeschi abbiano una simpatia istintiva per l’Italia, mentre gli italiani ammirano i tedeschi per le loro qualità. Ho però l’impressione che la maggior parte dei tedeschi ritenga che l’Italia abbia già ricevuto aiuti finanziari dalla Germania o dall’Ue, ma non è vero. Non abbiamo ricevuto nemmeno un euro".
Nel dettaglio, "il nostro debito pubblico quest’anno ha raggiunto il 123,4% del Pil. Senza i contributi (per i fondi salva-Stati e i prestiti concessi ai Paesi in crisi) saremmo al 120,3%".
I tempi del governo. Nella stessa intervista il premier dice di avere intenzione di restare fino a chiusura di legislatura: "Se tutto scorre secondo i piani, rimarrò in carica fino ad aprile 2013 e spero di essere riuscito a quel punto ad aver salvato l’Italia dalla rovina finanziaria". Tra l’altro il professore annuncia ferie ridottissime: appena sei giorni di riposo.
"Ho solo sei giorni di vacanza e spero che non vadano a monte, anche se guardo con una certa calma all’estate". E quando gli viene chiesto in che modo vuole essere ricordato dagli italiani, aggiunge che spera "che l’Italia diventi un pò più noiosa per gli osservatori esteri".
(05 agosto 2012) © Riproduzione riservata

MASSIMO GIANNINI INTERVISTA IL GOVERMATORE IGNAZIO VISCO
ROMA - "L’Italia ce la farà, ma solo se saprà ritrovare fiducia". Al termine di una settimana cruciale per i destini del Paese e dell’Europa, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco lancia un messaggio di speranza. "Ha detto bene Draghi: l’euro è irreversibile. E le decisioni dell’ultimo direttivo della Bce sono un importante passo avanti per la moneta unica e per gli spread". Visco mi riceve a Via Nazionale, nella Sala della Madonnella, dove troneggia una magnifica Vergine rinascimentale di Della Robbia. In vista dei mesi terribili che ci aspettano - gli faccio osservare - dobbiamo votarci giusto alla Madonna... Il governatore sorride: "Per ora l’Italia non ha bisogno di ricorrere al Fondo salva-spread. Monti è sulla strada giusta, ma ora deve accelerare sulle riforme. Purtroppo l’emergenza non è finita. E l’economia peggiora ovunque, nel mondo. Anche Il 2013 sarà un anno di recessione".
Governatore, il giudizio sulle decisioni della Bce non è mai apparso tanto controverso. C’è chi sostiene che ci sia stata una retromarcia rispetto agli annunci fatti da Draghi a Londra, e chi invece è convinto che il direttivo di giovedì abbia segnato una svolta. Sta di fatto che, almeno nell’immediato, i mercati non hanno apprezzato, se è vero che lo spread è rimasto sui livelli troppo elevati delle ultime settimane. Lei come la vede?
"Io ho l’impressione che ci sia stato un certo fraintendimento, sull’esito di quella riunione. La Bce non solo non ha fatto alcun passo indietro, ma semmai ha fatto un deciso passo avanti sulla via del ripristino del funzionamento corretto dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria, e quindi della stabilità della
moneta unica. Stiamo ai fatti e ai documenti ufficiali. Nella decisione di giovedì scorso ci sono tre elementi fondamentali, che vanno sottolineati. Il primo: c’è stato un riconoscimento unanime sul fatto che una parte importante dei differenziali tra i tassi di interesse sovrani di alcuni paesi, i cosiddetti spread, riflette soprattutto i timori di un break-up, una dissoluzione, dell’euro, e quindi qualcosa di "esogeno" rispetto ai fondamentali dell’economia degli stessi paesi, cioè le dinamiche del debito pubblico e del disavanzo, i livelli di crescita e così via. E poi c’è stato il riconoscimento del fatto che anche questa componente ’esogena’, non legata ai fondamentali, dipende a sua volta dai comportamenti dei governi e delle istituzioni europee: tanto più questi comportamenti dimostrano la convinzione che l’euro è una conquista irreversibile, tanto più si riducono i premi per il rischio, e quindi i rendimenti dei nostri titoli di Stato e i differenziali tra un paese e l’altro".
Ma questo non era un traguardo già acquisito, a livello politico e tecnico?
"Niente affatto. Non lo era. Come non lo era il secondo punto fondamentale concordato giovedì scorso dal Consiglio direttivo della Bce: c’è stato il riconoscimento che questi divari eccessivi, ingiustificatamente alti, tra i tassi di interessi sovrani dei diversi paesi sono un ostacolo al funzionamento della politica monetaria. Draghi l’aveva annunciato nel suo discorso a Londra e ora, con il pronunciamento di giovedì scorso, anche questo è un dato acquisito in via definitiva: ci sono squilibri che influenzano negativamente l’azione monetaria, a fronte dei quali la Bce può e deve intervenire".
D’accordo, Governatore, ma qui si apre una questione irrisolta: i tempi. C’era attesa per un intervento immediato della Bce, e invece si è solo stabilito che la Bce può e deve intervenire. Se non è un passo indietro, possiamo considerarlo una frenata?
"No. Vede, l’Europa è dentro un percorso di integrazione, che parte dall’unione monetaria, ma si deve allargare all’unione fiscale e all’unione politica. Questo percorso richiede tempo. Ma mi creda, stabilire che nel tempo necessario a completare l’integrazione, se vi sono rischi per la stabilità monetaria e dell’euro, la Bce può e deve intervenire per rimuovere ostacoli anche gravi al funzionamento dell’unione monetaria è tutt’altro che una frenata. È una vera e propria svolta. Abbiamo fissato un principiocardine: la Bce nell’ambito del suo mandato può costituire il ’pontè necessario per raggiungere la piena integrazione. Non era scontato che questo accadesse".
Prendo atto. Ma dopo gli annunci di Draghi a Londra, appunto, l’aspettativa era sul via libera immediato agli strumenti "non convenzionali " della Bce: un altro giro massiccio del Securities Market Program, cioè gli acquisti di bond sul mercato secondario, oppure un nuovo Ltro, cioè un’operazione di rifinanziamento a tassi bassissimi per le banche, o una riduzione dei collaterali richiesti per i prestiti accesi presso la Bce...
"Ma questi strumenti, ora, sono tutti in campo. E questa è la terza novità emersa dal direttivo. Si tratta di metterli a punto sul piano tecnico, e sarà il lavoro che i nostri economisti stanno già svolgendo e dovranno completare ad agosto. Ma il dado è tratto: la Bce avrà tutta la forza di fuoco per intervenire. E, come si era detto, con risorse assolutamente adeguate".
Ma allora perché i mercati, prima del rimbalzo di venerdì, hanno reagito così male? Non hanno capito nulla, o a Francoforte non si sono spiegati bene?
"Fondamentalmente, gli operatori finanziari chiedono due cose: vogliono capire in quali modi la Bce interverrà, non solo con interventi di mercato aperto, per garantire liquidità al sistema e al settore privato, e vogliono sapere in quali tempi gli strumenti diventeranno operativi. La risposta alla prima domanda è arrivata. Ora deve arrivare la risposta alla seconda. Da questo punto di vista, auspico un confronto serrato tra Eurogruppo e Bce, di qui a settembre".
E nel frattempo cosa succede? Agosto non è un mese pericoloso, che potrebbe spingere la speculazione a condurre l’affondo finale contro i Paesi periferici dell’Eurozona, a partire dall’Italia?
"È vero, agosto in genere è un mese in cui cala un po’ la guardia. Ebbene, io dico che questa volta non deve calare. Questo riguarda sia le istituzioni, a partire dalla Bce, sia i governi di tutti i Paesi, quelli sotto attacco come quelli più virtuosi. Bisogna confermare, con gli atti concreti, che nessuno mette in dubbio l’irreversibilità dell’euro, il processo di risanamento dei bilanci pubblici e l’azione di sostegno alla crescita economica".
Perché non avete ridotto i tassi di interesse, fermi allo 0,75%? Non sarebbe stato utile a dare ossigeno all’economia reale dell’Eurozona?
"In verità non c’era una forte attesa per un calo dei tassi. In ogni caso, siamo in una fase in cui persistono prospettive di recessione e si accentua il calo dell’attività manifatturiera, non solo nell’area dell’euro ma anche in altri paesi avanzati come nelle economie emergenti. In questo scenario di perdurante rallentamento, nei prossimi mesi ci si può attendere una politica monetaria più accomodante".
Governatore, in tutta onestà, non si poteva dare un segnale più concreto anche sul Fondo salva-spread? Per ora c’è L’Efsf, che ha poche risorse, e poi scatterà l’Esm, che non ha licenza bancaria...
"È vero che questi Fondi hanno risorse ancora limitate, e forse non sufficienti. Ma il segnale politico c’è, e riguarda tutti i paesi, a partire dalla Germania".
La sensazione è che i tedeschi abbiano fatto pesare i loro veti, in attesa della decisione della Corte di Karlsrhue sull’Esm. Ha vinto la Germania o no?
"Mi creda, questo è proprio un modo sbagliato di interpretare i fatti".
Può darsi, ma sta di fatto che il rappresentante della Bundesbank Weidmann, nel direttivo, ha votato contro l’acquisto dei bond da parte della Bce.
"Intanto non si è votato formalmente. Si è discusso. Nel board non c’è stata divisione, ma discussione e condivisione di analisi. All’Eurotower non esistono contrapposizioni predefinite. Weidmann, legittimamente, ha manifestato le sue già note perplessità sull’acquisto diretto di titoli sul mercato secondario da parte della Banca centrale. Questo non ha impedito di procedere sullo schema che le ho delineato. La mia idea è che se compri titoli di Stato per finanziare il debito sovrano di un Paese, allora ha ragione la Bundesbank, sei fuori dai Trattati. Ma se lo fai per ripristinare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, allora sei pienamente dentro il perimetro dei Trattati. E questa è stata la conclusione collegiale del Consiglio direttivo della Bce".
Il fatto veramente nuovo, per ciò che riguarda il Fondo salva-spread, sembra però un altro, e forse questo è il prezzo che era necessario pagare all’ortodossia tedesca: gli Stati che chiedono l’intervento del Fondo devono sottostare alle nuove "condizionalità", negoziate con la Bce e con la Ue. Dal punto di vista delle politiche interne agli Stati, questa può essere una novità dirompente. Per i governi si riduce ulteriormente il margine di manovra: non c’è una definitiva cessione di sovranità sulle politiche economiche e fiscali, tale da mettere in gioco il concetto stesso di democrazia?
"Non sono d’accordo. La democrazia non c’entra nulla. Apparteniamo a una comunità sovranazionale in corso di costruzione. Mi sembra chiaro che dobbiamo rispettarne i vincoli, e che questa cessione di sovranità ci riguarda tutti allo stesso modo: non solo noi e la Spagna, ma anche la Germania e la Francia. Il fiscal compact ci riguarda tutti, l’unione bancaria ci riguarda tutti. Trovo del tutto logico che, nel momento in cui uno Stato chiede un aiuto al Fondo salva-spread, debba ridefinire una serie di impegni vincolanti, e che l’Eurosistema non voglia sprecare le sue munizioni in assenza di garanzie precise. Quando si abita una casa comune, i condomini ne devono rispettare le regole e devono accettare una limitazione della propria sovranità, nell’interesse comune della casa".
Forse Monti non si aspettava questo paletto pregiudiziale per l’attivazione del Fondo. Ma secondo lei l’Italia deve chiedere gli aiuti o no?
"Al momento mi pare non ce ne sia bisogno. In prospettiva, dipenderà da tante variabili. Se i mercati si convincono che la svolta c’è stata, se l’Italia non defletterà dalla disciplina sui conti pubblici e rafforzerà l’impegno per rimuovere i fattori che impediscono al Paese di crescere, allora l’intervento del Fondo non servirà. Dipende molto da noi".
Appunto. Finora a suo giudizio il governo Monti come se l’è cavata?
"Il nostro Paese ha compiuto passi importanti, anche dal punto di vista del recupero di credibilità internazionale. Direi che siamo sulla buona strada, ma dobbiamo stare molto attenti a non perderci. Vede, io l’ho già detto altre volte ma lo voglio ripetere: l’emergenza non è affatto finita. Ci siamo ancora dentro".
Emergenza di che tipo, governatore?
"Emergenza finanziaria, ma anche economica. E non solo italiana. È inutile negarlo, la congiuntura internazionale si conferma negativa. Gli Stati Uniti puntano il dito contro l’Europa, ma a parte il fatto che proprio loro sono stati l’epicentro della crisi, anche l’economia americana cresce poco e ha alti debiti pubblici e privati. La Cina e i paesi emergenti vivono una fase di rallentamento se non di stasi, il Giappone non è più quell’esempio di dinamismo che abbiamo conosciuto negli anni ’80".
Lei aveva detto che vedeva la fine del tunnel alla fine del 2012. A questo punto restiamo ancora al buio per un bel pezzo?
"Nel breve periodo la crisi si è aggravata. Anche nel 2013, purtroppo, avremo una crescita molto bassa".
Quindi, cosa possiamo fare? Continueremo ad avvitarci nella spirale più rigore-più recessione?
"Dobbiamo imparare a produrre meglio, con meno risorse a disposizione. Nel farlo, dobbiamo sapere che andiamo contro interessi e mentalità conservatrici. Dobbiamo superarli. Poi dobbiamo ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese, rafforzando la lotta all’evasione e puntando a un riordino della legislazione fiscale".
Come valuta il decreto sulla spending review appena passato in Parlamento con la fiducia?
"È un primo passo, anche quello, ma non può essere certo definitivo. Bisogna accelerare, senza esitazioni. La spending review è un lavoro chirurgico, con il quale bisogna agire sulle micro- grandezze della spesa. Il settore pubblico va portato rapidamente su standard di elevata efficienza, riducendo sprechi e costi e migliorando i servizi. Bisogna imparare a fare interventi selettivi, e ad evitare la filosofia dei tagli lineari ".
Anche perché, finora, i cittadini hanno visto solo i sacrifici, senza alcun trade-off...
"La questione è complessa. Servono i sacrifici, ma serve anche equità. Governo e Parlamento devono mantenere l’impegno a rimuovere rigidità e recuperare i ritardi, il gioco vale la candela".
Deflagrano crisi industriali, come l’Ilva o la Fiat. Ci aspetta un autunno caldo, sul versante del lavoro e dell’occupazione, il vero dramma per i giovani. Lei cosa prevede?
"Io vedo senz’altro un tema di breve periodo, cioè l’esigenza di difendere il lavoratore che perde il posto. Ma in prospettiva vedo la necessità di rimuovere gli atteggiamenti di conservazione. Noi dobbiamo innovare moltissimo: norme, contratti, tecnologie, processi produttivi, produttività nei servizi ancora dominati da troppe rendite di posizione. Il capitale umano va valorizzato, bisogna imparare a studiare lungo l’intero ciclo della nostra vita. I giovani sono la categoria sociale che oggi soffre di più, certo. Ma per i giovani non dobbiamo trovare un posto, bensì creare le condizioni perché possano lavorare. Serve un modo nuovo e inesplorato di affrontare i problemi. Serve quello che io chiamo ’uno spirito nuovo’. La capacità di reagire, del resto, viene fuori nelle difficoltà".
Come valuta il governo Monti, da tutti questi punti di vista? Sta vincendo la sfida, o ha esaurito la sua spinta propulsiva?
"Come le ho già detto: la strada è giusta, la velocità va aumentata. Noi dobbiamo ritrovare fiducia, all’interno e sui mercati internazionali. E dobbiamo fare presto".
Eppure sulle misure da prendere c’è una consultazione costante tra Palazzo Chigi e Palazzo Koch. Non è così?
"Guardi, ci tengo a dirlo: c’è un’autonomia e un’indipendenza totale tra quello che fa la Banca d’Italia nell’azione di politica monetaria e sulla Vigilanza e l’impegno quotidiano dell’esecutivo. Certo, c’è anche una collaborazione costante, di analisi e di ricerca di soluzioni, che del resto è sempre esistita tra questa istituzione e i governi del Paese. Ma non c’è e non ci sarà mai alcuna forma di supplenza".
Anche la questione delle quote del capitale di Bankitalia detenute dalle banche fa parte del tema dell’indipendenza. Come pensate di risolvere questo problema? Le banche si devono liberare di quelle quote, e a che prezzo?
"La legge sul risparmio ha fissato alcuni principi. Draghi, quand’era ancora qui in Via Nazionale, ha già detto che la questione va risolta. Noi siamo pronti, non abbiamo alcun tabù. Il dialogo con il Governo è sempre aperto. Questo è tutto. E non ha nulla a che vedere con il tema più generale dell’autonomia e dell’indipendenza della Banca d’Italia. Non vi è stato alcun intervento per rimettere in discussione, attraverso la questione delle quote, quei principi di autonomia e di indipendenza".
Governatore, ci aspettano mesi difficili. Tra mercati e politica, il futuro è pieno di incognite. La strana maggioranza che sostiene il governo si sta sfaldando, è già cominciata la campagna elettorale, c’è chi evoca il voto anticipato. Lei non è preoccupato?
"Senta, io non voglio parlare di politica. Ma esprimo la mia idea da cittadino. Certo sarei preoccupato se la politica si limitasse alla ricerca di un capro espiatorio, a rinfacciare sempre a un avversario l’origine dei mali. Bisogna litigare di meno e agire di più, possibilmente tutti insieme. Dobbiamo imparare ad alzare finalmente lo sguardo, ad avere una veduta lunga, a non dividerci sempre sul passato. Vi è bisogno di una politica alta, di una classe dirigente che sia all’altezza del compito che la Storia le assegna ".
m.giannini@repubblica. it
(05 agosto 2012)

L’EDITORIALE DI SCALFARI
LA CRISI dell’euro rispecchia il fallimento d’una politica senza prospettive. Al governo tedesco manca il coraggio di andare oltre uno
status quo
divenuto insostenibile. Questa è la causa del continuo peggioramento della situazione, nell’Eurozona negli ultimi due anni, malgrado ambiziosi programmi di salvataggio e innumerevoli vertici di emergenza.
Questo drastico giudizio l’ha scritto ieri sul nostro giornale Jurgen Habermas, un filosofo, uno storico, un profondo studioso dei pregi e dei difetti della democrazia. Concordo da tempo con la sua opinione e con quella di tutti coloro che hanno voglia di capire quali siano le vere cause che attanagliano l’Unione europea e in particolare i 17 Paesi dell’Eurozona.
Personalmente e nonostante questo giudizio di fondo sono stato ottimista sull’esito finale poiché non pensavo che l’Europa arrivasse al punto di volersi suicidare. E riponevo grande fiducia nella competenza tecnica e nella visione politica di Mario Draghi e nella forza e nell’indipendenza della Banca centrale europea da lui guidata. La conferenza da lui tenuta a Londra alcuni giorni fa aveva confermato queste speranze ed era stata anche positivamente accolta dai mercati. Poi nella mattinata di giovedì scorso si è svolta la riunione del consiglio direttivo della Bce e la conferenza stampa del suo presidente il quale, stando a chi gli ha parlato subito dopo, era felice del risultato.
Sedici membri di quel consiglio, formato dai governatori delle Banche centrali nazionali, avevano manifestato opinioni pienamente in linea con quelle del presidente ed uno soltanto si era dissociato. Ora sono in corso gli studi necessari ad approntare gli strumenti operativi e su di essi ci sarà il voto definitivo del consiglio.
I mercati giovedì hanno accolto molto negativamente i risultati di quel vertice, ritenendoli ancora una volta insufficienti e interlocutori. Ma il giorno dopo – venerdì – c’è stata una netta inversione di tendenza sia nelle Borse sia negli spread dell’Italia e della Spagna. Eppure non era accaduto nulla di nuovo in quelle 24 ore che giustificasse le aspettative. Un errore di valutazione giovedì e un ripensamento venerdì? I mercati – si sa – sono molto volatili ma la loro “volagerie” è sempre motivata da una causa, un dato nuovo, una più chiara e autentica spiegazione. Ma nulla di simile è accaduto. Allora perché un capovolgimento così improvviso e così vistoso? E che cosa c’è da aspettarsi per domani quando i mercati riapriranno?
* * * Desidero ricapitolare le conclusioni raggiunte dal consiglio della Bce e riassunte da Draghi.
1 – Il tasso ufficiale di sconto e il tasso riservato ai depositi delle banche presso la Bce sono rimasti invariati: 0,75 il primo e zero il secondo.
2 – La Bce entro la fine di agosto interverrà sul mercato secondario per acquistare titoli pubblici a scadenza breve per cifre illimitate. Scadenza breve s’intendono Bot a un anno.
3 – Si tratta dunque di operazioni tipicamente monetarie che possono tuttavia essere molto utili anche al Tesoro se limiterà le emissioni di Bpt e accorcerà la durata media del debito pubblico. Questa politica di accorciamento della durata media può essere adottata per un paio d’anni senza particolari difficoltà.
4 – L’intervento della Bce avverrà però soltanto sui titoli pubblici di quei Paesi che lo avranno chiesto al fondo “salva Stati” sottoscrivendo con le autorità dell’Eurozona nuove condizioni ritenute necessarie. Una volta ottenuto l’ok dalle predette autorità la Bce darà inizio agli acquisti limitatamente ai Bot con scadenza breve fino al massimo di 12 mesi.
5 – La Bce non esclude – ma senza impegno – altre iniziative come per esempio nuova liquidità alle banche che ne facessero richiesta, allentamento dei collaterali offerti in garanzia e perfino finanziamento diretto di imprese con l’acquisto di obbli-
gazioni da esse opportunamente garantite.
Fin qui il resoconto di Draghi. Come sopra ricordato i mercati giudicarono negativamente sia la limitazione dell’intervento a titoli a scadenza breve sia il rinvio delle operazioni alla fine d’agosto sia, soprattutto, la necessità dell’ok del fondo “salva Stati”. Ma il giorno dopo cambiarono idea. Forse sarà opportuno a questo punto qualche spiegazione e qualche osservazione.
La Bce non è una Banca centrale come tutte le altre. In comune ha soltanto l’indipendenza dai governi con un aspetto che ne rafforza l’azione operativa: le altre Banche centrali hanno il governo del loro Paese come interlocutore. La politica fiscale ed economica è esclusivo appannaggio del governo, la Banca centrale ha come compito la politica monetaria, la stabilità dei prezzi, la fissazione del tasso di sconto e la vigilanza sul sistema bancario. La Bce invece non ha alcun governo come interlocutore e non lo avrà fino a quando non sia nato il nucleo d’un governo europeo con sovranità sul fisco e sulla politica economica degli Stati confederati.
Naturalmente anche la Bce ha dei vincoli operativi che risultano dai Trattati europei e dal suo Statuto. Le sono vietate operazioni di acquisto di titoli pubblici sul mercato primario. Le finalità da perseguire sono: assicurare la liquidità
al sistema, evitare che il tasso di inflazione superi i limiti ritenuti appropriati, evitare situazione di deflazione, mantenere la stabilità dei prezzi, fissare il tasso ufficiale di sconto.
Questo è il quadro. Aggiungo – l’ho già scritto molte volte e lo ripeto – che la Bce è il solo istituto europeo dotato d’una formidabile potenza di fuoco e d’una capacità operativa rapida, naturalmente entro i limiti stabiliti dai
Trattati e dallo Statuto.
* * * Né i Trattati né lo Statuto prevedono che la Bce abbia bisogno d’un ok dal fondo “salva Stati” per adottare interventi che Trattati e Statuto prevedono nelle sue finalità. Per la semplice ragione che Trattati e Statuto enumerano i poteri e i vincoli della Bce da quando fu fondata quattordici anni fa mentre il fondo “salva Stati” non ha più d’un anno di vita.
E allora: non c’è dubbio alcuno che non esistano pericoli d’inflazione, Draghi l’ha detto decine di volte in pubbliche dichiarazioni e i tassi d’inflazione sono certificati dal bollettino della Banca.
Non c’è tuttavia dubbio alcuno che la stabilità dei prezzi e la stessa politica monetaria sono fortemente turbate dalle differenze dei tassi d’interesse derivanti dai diversi rendimenti dei titoli sovrani a scadenze quinquennali e decennali.
Non c’è infine dubbio alcuno
che in alcuni Paesi dell’Eurozona è in atto una profonda recessione e una altrettanto marcata deflazione.
Poiché questo stato di cose è certificato dalla stessa Bce e rientra nelle finalità che essa ha l’obbligo di perseguire, non si vede ragione alcuna che essa debba o voglia ottenere l’ok del fondo “salva Stati” per realizzare obiettivi che non menzionano affatto quell’ok.
Ho grandissima stima ed anche affettuosa amicizia per Mario Draghi ma questo non mi impedisce di porgli la domanda: perché l’acquisto di titoli a breve in Spagna e in Italia dev’essere autorizzato? L’Italia in particolare ha varato con l’approvazione del Parlamento la riforma delle pensioni, la riforma del lavoro, la revisione della spesa e tutte le misure previste nella lettera firmata nell’agosto scorso da Trichet e dallo stesso Draghi, ivi compreso il pareggio del bilancio entro il 2013. È sottoposta, l’Italia, come tutti gli Stati dell’Unione alla vigilanza e al monitoraggio della Commissione europea.
È carente – questo sì – per quanto riguarda la crescita e la produttività, ma questi obiettivi non sono raggiungibili da un singolo Paese dell’Unione se non sono inquadrati e sostenuti da una politica dell’intera comunità europea. Crescere e aumentare la produttività in un sistema rigorista che non prevede crescita, ma
soltanto recessione e deflazione, è impensabile. Non c’è bisogno di citare e demonizzare Keynes, basta ricordare Beveridge e Roosevelt ed anche quel brav’uomo di Hoover che precipitò gli Usa e l’Europa nel baratro del ’29.
Domenica scorsa avevo chiesto a Draghi: se non ora, quando? Gli ripropongo la domanda leggermente modificata: perché non ora? Aspetta che Monti si sottoponga a ulteriori condizioni ma con quale certezza per il futuro? Certezze, non promesse da marinaio. Se Monti piegherà la testa stimolerà i mercati ad aggredire i titoli pubblici italiani. Che farà in quel caso Draghi? Difenderà il muro quando già sarà crollato?
Può darsi che questo vogliano i falchi della Bundesbank, i liberali tedeschi, la Csu della Baviera, gli hedge funds e le grandi banche americane ed anche Romney e Wall Street e la City. Ma questa è l’anti-Europa cui si aggiunge la rabbia sociale in tutti i Paesi.
Quanto alla Bundesbank, essa fa parte organica della Bce alla quale ha delegato come tutte le altre Banche nazionali la politica monetaria, la stabilità dei prezzi, la lotta contro la deflazione. Può votar contro nel consiglio direttivo ma poi deve comportarsi come la maggioranza avrà deciso. Questa è la regola e spetta a Draghi farla valere.
Lo ripeto, con amicizia e stima: perché non ora?

CORRIERE.IT - INTERVISTA A CATRICALA’ DI MARCO GALLUZZO
ROMA - Professore come stanno i conti pubblici, farete una correzione?
«No non ci sarà un decreto di correzione, naturalmente ci sarà la legge di Stabilità. Occorre onorare il Fiscal compact, il pareggio di bilancio nel 2013 lo confermiamo, ma i conti dello Stato vanno bene».
Cosa vi rassicura?
«Siamo tranquilli per due motivi: soffriamo di spread alti nel lungo termine, ma quelli a breve sono ancora accettabili per le nostre finanze. Avremo bisogno di una politica di bilanciamento fra medio e lungo termine, ma abbiamo i migliori professionisti europei al Tesoro su questi punti».
Antonio Catricalà è magistrato, avvocato, consigliere di Stato. Per sei anni è stato a capo dell’Antitrust. Oggi è sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’ufficio che Gianni Letta aveva nei governi Berlusconi, snodo centrale della macchina dell’esecutivo. Ha ottimi rapporti con i protagonisti della strana maggioranza: con Casini («Siamo amici, anche fuori dal Palazzo»); con Alfano («Nutro grande stima, credo ricambiata»); con Bersani («Da presidente dell’Antitrust dissi che era stato il migliore ministro dello Sviluppo»).
I conti pubblici non vi preoccupano, ma quando comincerete ad aggredire il debito? Per molti siete in ritardo.
«Abbiamo letto molte ricette, il piano di Alfano, i suggerimenti di Vegas, i consigli di tanti economisti. Ma vorrei dire che esiste anche la linea di Monti e Grilli: abbiamo varato i fondi immobiliari, ci stiamo lavorando, è chiaro che non è facile, né immediato. Ma se avessimo iniziato a lavorare solo sulle dismissioni saremmo stati in grado di fare accettare la riforma dell’Imu? O delle pensioni? Monti ha avuto una visione strategica. In ogni caso non credo che sia realistico spingersi oltre i 15-20 miliardi l’anno, fra l’altro il mercato per ora non ha domanda. E questo range ci consentirebbe di onorare gli impegni di riduzione pluriennale del debito presi a Bruxelles».
Venderete alcuni asset pubblici?
«Abbiamo detto che le società pubbliche sono un bene primario dello Stato, non ne perderemo il controllo. Si tratta di capire quali quote, prive di rilevanza strategica, potranno essere dismesse».
Unicredit, Finmeccanica, altre aziende nazionali: sono nel mirino di qualcuno?
«È chiaro che il ministro dell’Economia, certamente per Finmeccanica, vigila. Ma non abbiamo intenzione di interferire sul libero mercato. Del resto abbiamo una legge sulla golden share, rispettosa dei vincoli europei, che conferisce al governo poteri rilevanti. Per alcune società in particolare, da Eni a Enel, sino a Terna, scalate ostili le vedo inimmaginabili, solo persone poco avvedute progetterebbero operazioni su attività regolamentate e contro il governo».
Cosa farete per evitare l’aumento Iva?
«Di certo non ci saranno tagli alle retribuzioni pubbliche. E non abbiamo alcuna intenzione di toccare le tredicesime, non siamo in queste condizioni . Dal riordino delle agevolazioni si può trovare qualcosa, ma non moltissimo. Viceversa pensiamo di ottenere molto da una spending review che è ancora in corso. Il mandato del commissario Bondi dura sino alla fine del nostro governo: non ha un compitino che è terminato, va ulteriormente implementato. Fra l’altro occorre una certa vigilanza: ogni volta che ci sono state riduzioni di spese la storia insegna che il sistema ottiene altre forme di esborso pubblico».
Cosa avete in agenda?
«Di certo faremo nuove norme di liberalizzazioni. Ogni anno c’è da varare una legge per la concorrenza. C’è tutto il settore dei trasporti su cui intervenire: la materia non è stata liberalizzata, è rimessa alla costituzione di un’Autorità che vedrà la luce a settembre. Poi ci sono i decreti attuativi delle liberalizzazioni delle attività economiche già varate. Aprire una palestra a Roma richiede sette autorizzazioni, tutte regionali: in orgine erano 15, c’è molto da fare».
Chiederete lo scudo anti-spread?
«La nostra idea è che ce la faremo da soli. Non abbiamo bisogno di nessun aiuto in senso tecnico, ma sappiamo anche che questo periodo di transizione sta diventando troppo lungo, i mercati ci mettono troppo a riconoscere i nostri meriti, la buona salute dei conti pubblici».
Dunque alla fine lo chiederete? E dovrete firmare un memorandum di ulteriori obbligazioni con l’Europa.
«Non abbiamo timore di fare un memorandum of understanding . Significherebbe solo confermare impegni già assunti. Sarebbe un atto meramente dichiarativo, senza nuove obbligazioni. Non siamo e non vogliamo diventare sudditi della Ue, ne siamo fondatori e stiamo lavorando per l’Italia e per tutti i cittadini europei».
Per tanti sarebbe una cessione ulteriore di sovranità.
«Ma per carità! Quello della sovranità è un problema che riguarda tutta l’Europa, tanto che la Corte Costituzionale tedesca deve decidere se il Fiscal compact impatta sulla loro democrazia. Bisogna essere obiettivi: ci sono dei trattati che abbiamo firmato, che hanno messo insieme dei pezzi di sovranità di tutti i Paesi. Vanno osservati, come fa ogni Stato serio».
La richiesta dello scudo avrebbe conseguenze sulla maggioranza.
«È vero, potrebbe essere utilizzato impropriamente, ma sino a ora, quando c’è stato bisogno di manifestare unità del Paese, il Parlamento ha risposto in modo quasi unanime, con stile encomiabile. Non credo che ci sarebbe una reazione di rottura, avremmo forse dei contraccolpi, sono sicuro che li supereremo».
Prima si muoverà la Spagna, poi, eventualmente, voi?
«È chiaro che non saremmo mai noi a fare per primi una richiesta, ci guarderebbero come dei matti. Le nostre finanze pubbliche sono molto più solide di quelle di tanti altri. E poi non ci muoviamo se non sappiamo esattamente che cosa prevede l’intervento della Bce. In sintesi: che cosa viene chiesto e cosa viene dato in cambio».
Un’agenda Monti può sopravvivere al governo?
«Speriamo che questo governo abbia indicato una modalità di azione, una capacità di raggiungere determinati obiettivi nel breve periodo. Un metodo e una speditezza della decisione. Si può fare, ora è dimostrato, anche in Italia. Occorre riconoscere che abbiamo una maggioranza eccezionale nei numeri, ma il contributo alla governabilità del sistema lo abbiamo dato».
Finirete la legislatura?
«Penso assolutamente di sì, non è in aria una crisi di governo. Lo scioglimento anticipato potrebbe aggravare la crisi finanziaria, vedo più rischi che benefici da un’interruzione della legislatura. Questo penserebbero i mercati, la vivrebbero come una forma di destabilizzazione».
Legge elettorale: i partiti la faranno?
«È una pregiudiziale assoluta. Antonio Maccanico mi ha insegnato che ogni legge è neutra rispetto al vincitore. Il voto lo indica con certezza, la legge gli consente di governare. Per questo serve una norma che abbia un premio di maggioranza serio e poi una soglia di sbarramento altrettanto seria, così si garantisce la governabilità. I mercati vogliono l’affidabilità della classe politica del Paese, un governo in grado di attuare un programma».
Perché non è stata ancora fatta?
«Quando si vuole fare una legge elettorale, ce lo insegna la storia, ci vogliono solo sette giorni per approvarla. Evidentemente non c’era la volontà di votare».
Monti lo esclude, ma tutti si chiedono: ci sarà ancora un suo impegno?
«Il problema non è mai di nomi, il problema è di affidabilità e di serietà di impegni. È un falso problema parlare di Monti bis, bisogna parlare di un modello che possa coinvolgere un’ampia maggioranza e attuare in fretta i programmi».
È vero che siete stati precettati?
«Nessuno si allontanerà, il governo non va in vacanza. Sono stati sconsigliati i viaggi all’estero: magari, se occorre, non si riesce tornare in fretta. Il 10 c’è il prossimo Cdm, il 24 un altro».
Quando De Gaulle tornò al potere disse ai francesi: sono qui per fischiare la fine della ricreazione. Con tutto il rispetto, sembra che il governo abbia fischiato solo per alcuni, mentre per altri la ricreazione è continuata.
«Guardi io posso solo dire che Monti non ha mai perso né psicologicamente né fisicamente lo slancio. Semmai ogni tanto va frenato, perché è un entusiasta. Abbiamo fatto cose difficilissime, in materia di liberalizzazioni moltissimo. Certo, le spinte delle corporazioni ci sono state, la riforma delle professioni è stata un’impresa quasi ciclopica. Abbiamo riformato le piante organiche dei notai e delle farmacie, un’attività economica si può aprire con un semplice dichiarazione, la rete del gas è stata divisa dall’operatore dominante. Si può fare di più, ma il governo non ha finito di lavorare».
Una vera riforma della pubblica amministrazione non l’avete fatta.
«È vero che esiste una fetta di pubblica amministrazione che non funziona, ma si tratta di non buttare via il bambino con l’acqua sporca».
Berlusconi lo sente?
«Talvolta, il nostro riferimento è il segretario Alfano»
Marco Galluzzo