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 2012  agosto 03 Venerdì calendario

«L’AMAVO, LA MADRE NON VOLLE»

«Era bellissima. Bruna, sottile, delicata. Me ne innamorai appena la vidi». Il primo amore per Dario Argento scocca a 18 anni. Il futuro mago del brivido è un ragazzo magro, una gran frangia di capelli a difendere gli occhi timidi. Pronti ad accendersi e diventare persino audaci quando, una sera di tanti anni fa, si incrociano con quelli di una fanciulla sconosciuta. Luogo d’incontro una festicciola domestica, quelle caste di una volta, tartine e Coca Cola, giradischi e madri in agguato allo scoccare dei «lenti». «Lei era arrivata con un altro, probabilmente il suo fidanzatino. Ma io non mi scoraggiai. La invitai a ballare, la strinsi, le feci la corte senza ritegno. Ero come impazzito. Una follia contagiosa. Da quella festa ce ne andammo insieme».
E insieme, incatenati come da una malia, passano tutti i giorni, le settimane, i mesi seguenti. «C’eravamo solo noi. Stupefatti di quello che ci accadeva, convinti che sarebbe stato per sempre. A unirci ancora di più c’era la passione per il cinema. Io allora collaboravo per dei giornali, scrivevo delle recensioni, e questo mi dava diritto a una tessera per entrare gratis nelle sale. E con lei, abbracciati al buio, i film mi piacevano anche di più. Il cinema era uno dei pochi posti dove stare in intimità. Per il resto... La mia Cinquecento era diventata la nostra alcova. E qualche fine settimana riuscivo a rimediare le chiavi di qualche amico... Fare l’amore non era mai facile, ma forse proprio per questo lo facevamo in ogni momento. Avevamo scoperto il sesso insieme. Una cosa folle e meravigliosa».
Così per due anni. «L’unica ombra era sua madre. Per quella figlia bellissima sognava un futuro brillante. Non certo accanto a un giornalistucolo spiantato com’ero io. Non mi aveva mai voluto conoscere, al telefono era sempre gelida».
Un’ostilità sorda, capace d’incrinare anche un cuore. «Lei era cambiata, si era fatta triste, piangeva spesso e non mi diceva il perché. "Portami via qualche giorno", mi chiese una sera. La portai a Sperlonga, in un appartamento prestatomi da uno zio. Per tutto il weekend non uscimmo mai dalla camera da letto. Ma il bacio lunghissimo che mi dette al ritorno a Roma mi lasciò un triste presentimento».
La conferma non si fa troppo attendere. «Dopo qualche giorno di inspiegabile silenzio mi dà appuntamento sotto casa, mi dice che non dobbiamo vederci più. Mai più. Io non capisco, insisto... È finita e basta, chiude lei».
La spiegazione arriva in fretta e fa molto male. «La madre aveva messo gli occhi sul ricco figlio di un albergatore e aveva convinto la figlia a fidanzarsi con lui. Per me un colpo terribile. Non riuscivo a crederci. Più che tradito mi sentivo umiliato».
Passano gli anni. Argento nel frattempo diventa un regista famosissimo, autore di capolavori horror come L’uccello dalla piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio. «E fu allora, un pomeriggio nel mio ufficio di produzione, che squillò il telefono. Una voce dal passato. Una stretta al cuore». Lei che si rifà viva. Lei sposata, con dei figli. Lei che vuole incontrarlo ancora. «Venne da me. Non era cambiata, sempre così bella. Facemmo subito l’amore. Fu intenso ma io non riuscivo a togliermi l’amaro di bocca». Argento è sentimentalmente libero. Divorziato di fresco da Marisa Casale, vive solo con la piccola Fiore. «Essere di nuovo corteggiato mi lusingava, lei era piena di attenzioni, a volte veniva solo per portare al parco mia figlia...». Tutto sembra tornare come prima. Niente lo è più. Proprio in quei giorni Argento conosce un’altra. Un’attrice dal volto incantevole, Daria Nicolodi, la futura madre della sua seconda figlia, Asia. «Me ne innamorai e a quel punto volevo solo lei. L’altra, l’amore della mia giovinezza, era diventata l’intrusa, quella di cui volermi sbarazzare. Prima cercai di farglielo capire trattandola con freddezza, ma non bastò. Così glielo dissi usando quasi le sue stesse parole di un tempo: ti prego non telefonarmi più. È finita. Finita e basta. D’altra parte, aggiunsi con una punta di consapevole crudeltà, chi la fa l’aspetti».
Giuseppina Manin