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 2012  agosto 03 Venerdì calendario

FACEBOOK E APE, LE RAGAZZE DIETRO LA PROTESTA —

«Aspettavate i black bloc e invece siamo arrivati noi, a volto scoperto, sul nostro Apecar verde scuro, armati di niente, solo con le canzoni a tutto volume di Rino Gaetano e dei 99 Posse…». Greta Marraffa, 21 anni, ex liceo Archita, studentessa di Giurisprudenza, ha gli occhi furbi che le sorridono. C’era anche lei dietro al «tre ruote» dei contestatori che ieri mattina sono entrati in piazza interrompendo il comizio dei sindacati. E come lei altre decine di ragazze tarantine, davvero un blocco rosa, non solo le mogli degli operai, ma anche Francesca, Carla, Cristina, studentesse e lavoratrici del call center di Teleperformance, che hanno conosciuto i metalmeccanici dell’Ilva durante i blocchi della scorsa settimana sul ponte girevole e hanno deciso di far parte della lotta. «Dio che scena biblica — sospira Greta, contenta, qualche ora dopo il tumulto della mattina —. Al passaggio del nostro Apecar, la piazza s’è aperta come le acque di Mosè, a Landini della Fiom, che stava parlando sul palco, gli si è mozzato il fiato e la gente intorno alla fine ci ha lasciato parlare, hanno abbassato le loro bandiere e ci hanno ascoltato, perché hanno capito che era una manifestazione di libertà». Anche Claudia Razzato, 19 anni, ex liceo Aristosseno di Taranto, era andata qualche giorno prima con tutti gli altri ad affittare per 100 euro da «u sicilianu», un artigiano di via Leonida, il «tre ruote» che poi ieri è servito al neonato «Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti» per debuttare platealmente sulla scena della lotta per la salute e il lavoro di Taranto. «La nostra rivoluzione — raccontano le ragazze — profuma un po’ di primavera araba, sembra quella dei ragazzi tunisini contro il regime di Ben Ali, infatti sta nascendo su Facebook, è un tamtam continuo, le persone oggi in piazza scattavano le foto e le mettevano subito in Rete e così altra gente man mano veniva. Il social network è stato fondamentale per la nascita del Comitato liberi e pensanti, le mogli degli operai hanno creato anche loro una pagina Facebook e da tre giorni ci riunivamo tutti in piazza Vittoria sempre alle sette di sera, prima 20, 50, poi 100 persone, discutevamo liberamente in assemblea, davanti agli occhi della Digos perché non avevamo nulla da nascondere. Democrazia reale, partecipata». Ma «u trerote», aggiungono Claudia e Greta, che a Taranto è molto diffuso tra i fruttivendoli e i raccoglitori di rottami di ferro, loro lo avevano già affittato in passato per protestare contro la riforma Gelmini, insieme ai ragazzi dei centri sociali di «Cloro rosso» e «Città vecchia» (c’erano anche loro ieri mattina a dar manforte agli operai dissidenti e pure qualche ultrà del Taranto calcio). Sul destino dell’Ilva non hanno le idee chiare. «Noi siamo nate con la fabbrica in casa — spiegano le ragazze —, il Mostro per noi ha fatto sempre parte del paesaggio, quindi all’inizio non l’abbiamo subìto come un problema. Almeno finché qualche nostra compagna di classe non si è ammalata di leucemia». «Il guaio — è la loro conclusione — è che qui a Taranto l’Ilva si è presa ogni spazio, perciò molti ragazzi se ne vanno, c’è la fuga dei cervelli, perché l’università non funziona, le facoltà sono poche e inutili, ci sono tanti tumori e malattie rare tra la popolazione eppure nessuno ha pensato finora di creare qui, sul territorio, un grande polo scientifico. Ora stiamo cercando una sede, per il nostro comitato. Gli operai vogliono aprirla a Tamburi, nel quartiere che confina col Mostro e respira ogni giorno le polveri. È giusto. L’Apecar si mette in cammino».
Fabrizio Caccia