Vincenzo Tessandori, il Venerdì 3/8/2012, 3 agosto 2012
TURISMO NERO
Chi non l’ha mai fatto? Chi, in cerca di un brivido a buon mercato, non si è precipitato in qualche piazza, casa, montagna, golfo maledetti? O magari in autostrada si è fermato non per prestare soccorso, ma «per guardare»? Io, sì. A Londra, sulle tracce ormai invisibili di Jack the Ripper, «Lo Squartatore». Un fiasco. Realtà e incanto finiscono per mescolarsi, ma diventa essenziale poter dire: «Io ci sono stato».
Accade da sempre. Al tempo neppure così remoto del banditismo sardo, c’era chi pagava per scoprire «i luoghi dei briganti». Dove c’è dramma, sventura, rovina, c’è anche una calamità impudica e irresistibile ai più. «Il turismo del macabro, però, è sempre stato organizzato, basti pensare al Colosseo, che ne è il simbolo. La gente ci andava soprattutto per veder ammazzare» osserva il sociologo Sabino Acquaviva. Quando si scatena la curiosità collettiva, non è facile dire se la gente pretenda sempre maggiori notizie dai mezzi d’informazione o se, di propria iniziativa, siano questi a rovesciarne valanghe. Certo, una cosa è il dovere di cronaca, altra far spettacolo del dolore, consumato con ingorda impudicizia in molti talk show.
Il tunnel dell’Alma a Parigi, dove morì la principessa Diana, l’isola di Utoya in Norvegia, luogo della mattanza di studenti, così come il cinema di Denver negli Usa, esercitano tutti un richiamo di massa. Per limitarci alla nostra Penisola, basta ricordare i boschi del «mostro di Firenze» oppure la casa del delitto di Cogne. Difficile, per tanti, resistere al richiamo di un posto dov’è avvenuto un gran misfatto. A frotte sono accorsi ad Avetrana (Taranto), luogo in cui, il 26 agosto 2010, fu assassinata Sarah Scazzi; altrettanto è accaduto nella Brembate di Sopra (Bergamo), dove il 26 novembre 2010 sequestrarono e uccisero Yara Gambirasio; dal 13 gennaio scorso, poi, un’interminabile processione si snoda all’isola del Giglio per contemplare la Costa Concordia naufragata a 20 metri dalla riva. Duecentotrentuno impresari, escursionisti ed esperti dei «luoghi simbolo» sono stati sentiti da Massimo Feruzzi, della società di marketing e consulenza turistica Jfc di Faenza. Questo particolare tipo di «vacanza breve», spiega adesso Feruzzi, segue tre filoni: lo slum tourism, cioè la visita dei luoghi considerati di degrado morale e allo stesso tempo di forte autenticità, come le favelas a Rio o in Sudafrica; il dark tourism o grief tourism, legato al patriottismo o alla memoria dolorosa, come le escursioni ad Auschwitz, a Ground Zero o al Memorial Peace Park di Hiroshima; il black tourism, legato alla volontà morbosa di visitare un luogo di morte.
Le statistiche mostrano tracce singolari. Impossibile un’indagine sui luoghi delle devastazioni sismiche, perché tutti gli esercizi e le attività sono chiusi. Ma, forse anche per il fatto che quelle realtà, considerate troppo a rischio, perdono fascino. Nei quattro mesi seguiti al delitto, invece, un vero tsunami turistico-macabro investì Avetrana: il numero dei visitatori, fino ad allora molto risicato, deflagrò del 160 per cento; bar, pizzerie, ristoranti vicini al luogo maledetto registrarono un balzo compreso fra 1’80 e il 122 per cento di presenze; e l’impennata coinvolse anche alberghi, bed and breakfast, case per ferie (più 36 per cento). Nei mesi successivi, il numero delle presenze segnò una lieve flessione per attestarsi, dal giugno 2011 ai giorni nostri, intorno al 20 per cento in più rispetto al periodo precedente l’omicidio. Si ignora, invece, dove sia davvero avvenuto l’omicidio di Yara Gambirasio e, dunque, a Brembate non esiste un vero e proprio luogo identificativo. Ciò nonostante, i flussi escursionistici sono aumentati del 55 per cento; fra 1’80 e il 122 per cento i consumi nei luoghi di ristoro; del 36 per cento i soggiorni nelle strutture alberghiere (una voce per la quale, anche in questo caso come ad Avetrana, ha inciso soprattutto la presenza dei giornalisti. A dimostrazione che quel tipo di turismo è, comunque, mordi e fuggi).
Ma niente può eguagliare, in questo campo, il fascino perverso esercitato dalla fine di una nave. Per contemplare la carcassa della Costa Concordia a migliaia sono accorsi, e accorrono, al Giglio i turisti per un giorno solo. Cifre da capogiro.
«Nel sabato dopo il naufragio, senza contare i soccorritori, le biglietterie dei traghetti staccarono 1.080 tagliandi contro i 131 di quello precedente» spiega Ferruzzi. Le presenze sull’isola fecero un balzo del 48 per cento. Pizzerie e ristoranti «con vista sulla Costa Concordia» aumentarono del 45 per cento i coperti nel periodo invernale, per assestarsi al 18 per cento negli ultimi due mesi. Sempre d’inverno, nei bar, ci sono stati incrementi dell’82 per cento e, da maggio, una stabilizzazione intorno al più 52 per cento. In alberghi, campeggi e case o stanze in affitto, infine, la crescita oscilla fra il 25 e il 30 per cento. Tempo medio della sosta? Due ore e 50. Spesa media pro capite? Dodici euro. Il 38 per cento dei «turisti della Costa Concordia» proveniva da località distanti, al massimo, 80 chilometri da Porto Santo Stefano, mentre il 62 per cento erano partiti da località rivierasche. E solo il 21 su cento ha approfittato dell’occasione per visitare anche l’isola.
Ma esiste, in tutto questo, anche un rovescio della medaglia. «La comunicazione generata da una disgrazia può creare, a sua volta, effetti devastanti» commenta ancora Feruzzi. E si ritiene che occorrano almeno cinque anni di tempo per cancellare le conseguenze di appena 12 mesi di bombardamento mediatico. Così, per esempio, in primavera al Giglio si è registrato un calo del 15 per cento di presenze fra i vecchi e affezionati ospiti, e adesso si attendono - con il fiato sospeso i consuntivi dell’estate.
Che cosa scatena, però, questa morbosa curiosità di massa? «La ricerca della trasgressione», secondo lo psichiatra fiorentino Pier Giulio Zalla. «Il proibito suscita sempre fascino. Certo, quelle persone non vorrebbero uccidere come l’assassino, ma con poca spesa puntano comunque a immedesimarsi. Quindi, questi pellegrinaggi permettono di dare uno sfogo alla propria istintualità, senza rinunciare ai freni etici». Ma c’è anche chi si spinge oltre, osserva il torinese Carlo Torre, direttore della scuola di specializzazione di Medicina legale. «Abbiamo notizia che in Inghilterra, nel 1860, alcuni smaniavano per infilarsi nel letto dov’era stato ammazzato un bambino. Fu quello il primo delitto trattato, e a lungo, dai giornali...».
Allora, chi non l’ha mai fatto?