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 2012  agosto 03 Venerdì calendario

TUTTI ALL’ASSALTO DELLO SPAZIO PROFONDO


«Sono molto felice e veramente orgogliosa del mio Paese». Sono state le prime parole pronunciate da Liu Yang uscendo dal “Divino Vascello”, Shenzhou-9, la capsula sulla quale era appena tornata dallo spazio. Intorno c’era il panorama vuoto e deserto della Mongolia interna. Il suo ingresso nella storia cinese era conquistato e il tono celebrativo portava alle lontane epoche sovietiche quando solo i satelliti spia americani mostravano qualche foto delle segretissime basi oltre la Cortina di ferro. Ma la realtà di Liu è diversa, anche se arriva 49 anni dopo il volo di Valentina Tereskova, la prima signora dello spazio, e i vecchi modi di dire che Pechino talvolta usa, possono trarre in inganno.
Liu è un pilota di 33 anni, maggiore dell’aviazione militare, con 1.680 ore di volo su svariati aeroplani, «senza mai aver avuto un incidente», si sottolinea. Venne scelta tra le prime 15 candidate nel 2010 secondo criteri a noi insoliti: dovevano essere sposate e nate «in maniera naturale». Quando è decollata, il 16 giugno con il razzo Lunga Marcia IIF dal poligono di Jiuquan, nel deserto di Gobi, in compagnia del veterano comandante Jing Haipeng e dell’esordiente Liu Wang, è diventata il personaggio principale della quarta tappa della conquista cinese dello spazio.
Da quando il primo “taikonauta” Yang Liwei salì in cielo nel 2003, il Celeste impero ha proceduto a tappe forzate nella scalata cosmica. Nel 2005 i “taikonauti” sono diventati due, nel 2008 tre e uno di loro ha compiuto la prima passeggiata esibendo la nuova tuta spaziale “made in China”. Nell’autunno scorso Pechino ha lanciato la mini-stazione orbitale Tiangong-1 (Palazzo celeste) e, dopo aver compiuto una missione con una navicella automatica per collaudarne i sistemi, ha fatto entrare e vivere per alcuni giorni nell’abitacolo un equipaggio umano.
Era prevedibile che toccasse ora a una donna. E così è stato, ma non per assecondare lo spettacolo. A Liu è stato affidato il compito più critico della spedizione: pilotare la navicella manualmente, staccandola dalla base, e poi ricondurla a un nuovo aggancio per certificare che, se gli automatismi non avessero funzionato, Shenzhou poteva essere padroneggiata con sicurezza direttamente dai “taikonauti”. Automatismi e manualità, sono i due volti di una sofisticata tecnologia che ormai i cinesi governano e che ha consentito loro di trasformare il vecchio e segretissimo “progetto 921” del 1999 per fabbricare le prime capsule in un piano di occupazione umana del cosmo riguardante, per adesso, l’orbita terrestre, ma presto la Luna e domani Marte. Avevano iniziato dalla tecnologia russa ma il risultato finale è qualcosa di ben più evoluto e avanzato. Ora, anche intorno alla Terra, su orbite diverse, c’è simbolicamente un Occidente e un Oriente, la stazione spaziale internazionale ISS e la Tiangong pechinese. Questa è più piccola, certo, ma è solo il primo passo per costruirne una più grande con diverse “stanze” entro il 2020, sulla quale ospitare in permanenza tre “taikonauti”. Lo hanno spiegato in dettaglio nel dicembre scorso i rappresentanti del governo, illustrando per la prima volta pubblicamente il piano spaziale a lungo termine. Fino ad allora circolavano solo voci e ipotesi, ma anche la politica della comunicazione sta cambiando, soprattutto quando si tratta di conquiste d’avanguardia.

Prossima destinazione: il mito. Nell’occasione, Pechino ha ricordato agli eventuali distratti di aver già spedito intorno alla Luna due sonde battezzate Chang’è, mito lunare della tradizione cinese, le quali hanno mappato il nostro satellite naturale. Poi ha aggiunto che nel 2016 un’altra sonda andrà a prendere dei campioni portandoli sulla Terra. Quindi arriverà la grande stazione e, in prospettiva, una colonia lunare e, infine, Marte. Nel 2014, intanto, partirà la prima sonda automatica verso il Pianeta Rosso, altre la seguiranno per arrivare nel 2040 allo sbarco di un “taikonauta”.
Date azzardate? Proprio il lancio di Tiangong-1 e la missione di Liu hanno costretto esperti americani ed europei a un cambio di considerazione per il livello dimostrato. Per tacitare le preoccupazioni, soprattutto statunitensi, che vedono, dietro il crescendo di queste imprese, un inquietante rafforzamento delle capacità militari, il rappresentante cinese alle Nazioni Unite, Cheng Jingye, ha ripetuto che Pechino nello spazio persegue solo obiettivi di pace: desidera collaborare con altre nazioni fornendo ai Paesi in via di sviluppo delle opportunità sulla loro base cosmica. Ma Pechino ha anche aggiunto, perentorio, che «ogni nazione nel mondo ha uguali diritti nell’esplorare e utilizzare liberamente lo spazio e i suoi corpi celesti». A conferma delle sue intenzioni, nel 2014 la Cina inaugurerà una nuova base spaziale a cui sta lavorando, sull’isola di Hainan, da cui poter lanciare il suo nuovo razzo vettore più potente, il Lunga Marcia-5, necessario per spedire abitacoli di maggiori dimensioni, come servono alla base orbitale, e per inviare sonde più corpose e complesse verso i pianeti.
Proprio l’intensificarsi delle attività e la preoccupazione manifestata dal Pentagono avevano spinto l’ex presidente George W. Bush a varare, nel 2004, il piano Constellation, attraverso il quale la Nasa sarebbe dovuta tornare sulla Luna per insediare una colonia. Il successore Barack Obama lo ha cancellato, anche se più tardi il Congresso ha ripristinato la fabbricazione del nuovo grande razzo vettore indispensabile per portare voluminosi carichi e garantito il collaudo della capsula Orion per volare oltre l’orbita terrestre, entrambi già avviati. Il razzo battezzato Space Launch System diventerà il più potente mai progettato: riuscirà a portare intorno alla Terra carichi di 70 tonnellate quando inizierà i voli, nel 2017, e 130 nelle successive versioni.
Secondo la politica della Casa Bianca, già impostata da Bush, nei collegamenti con la stazione spaziale dovevano, invece, cimentarsi i privati e così Elon Musk, miliardario grazie all’invenzione del pay-pal, ha realizzato con la sua società Space-X sia la capsula Dragon, collaudata nelle scorse settimane, sia il razzo Falcon per lanciarla. L’obiettivo è garantire i rifornimenti di materiali e dal 2015 anche il cambio degli equipaggi. Altre società, come Orbital Science, Sierra Nevada, stanno lavorando nella stessa direzione, tutte aiutate da incentivi della Nasa, contenuti perché loro stesse devono investire buona parte delle risorse necessarie. Lo scopo generale è fornire dei servizi per cui l’ente spaziale pagherà il trasporto alla stazione come oggi si prende un biglietto per un viaggio in aeroplano. Con questo spirito è nata pure una collaborazione totalmente privata tra il gruppo europeo Eads-Astrium e l’americana Atk per un vettore battezzato Liberty, mettendo insieme la tecnologia dei razzi ausiliari fino a ieri impiegati dallo shuttle ormai in pensione e il cuore del razzo Ariane-5.
Altri privati americani sognano mete ancora più azzardate tanto che alcuni miliardari, tra cui Larry Page, il fondatore di Google, James Cameron, regista di Avatar ed esploratore degli abissi, e l’ex amministratore di Microsoft Charles Simonyi, che da “turista” si è già permesso due viaggi nel cosmo con le navicelle russe Soyuz, hanno fondato la società Planetary Resources con l’intento di sfruttare le risorse minerarie degli asteroidi.

A caccia di materiali “spaziali”. È ancora presto per dire come e se queste ambizioni porteranno al successo. Tuttavia, dopo mezzo secolo di imprese cosmiche, la privatizzazione dei trasporti, sia pure limitata all’orbita terrestre, sembra finalmente concretizzarsi, spingendo la tecnologia a trovare soluzioni più economiche. La via è obbligata per consentire un serio utilizzo delle possibilità offerte dalla “casa spaziale Iss” sulla quale si possono realizzare materiali impossibili da ottenere sulla Terra grazie all’assenza di gravità. Per esempio, nuove leghe metalliche autolubrificanti per motori d’automobili (eliminando l’olio) oppure nuovi farmaci e nuovi cristalli semiconduttori per l’elettronica. Ma senza un basso costo nei collegamenti queste ricerche diventano impossibili. Non impegnarsi in tal senso sarebbe un errore madornale dopo che la grande architettura cosmica, estesa come un campo di calcio, e abitabile fino al 2028, ha richiesto cento miliardi di dollari per essere realizzata. Per stimolare l’interesse, la Nasa, l’agenzia spaziale europea Esa e quella italiana Asi hanno lanciato progetti di ricerca aperti a università ma anche ai privati.
L’Asia intanto corre verso lo spazio. Accanto alla Cina, c’è l’India che per il 2015 è impegnata a portare propri astronauti in orbita con una capsula che sta progettando e sperimentando. Nel frattempo la Russia cerca di riconquistare le passate posizioni finanziando in questo periodo un ammodernamento tecnologico di cui ha bisogno per essere più competitiva internazionalmente. Tornano sogni di autonomia prima sopiti, e abbandonati al crollo dell’Unione Sovietica, quando Mosca accettò di condividere assieme a Stati Uniti, Europa, Giappone e Canada la Stazione spaziale internazionale. Pensando alla sua futura sostituzione, alcuni politici alla Duma e all’interno dell’agenzia spaziale RosKosmos hanno proposto una stazione spaziale tutta russa. Non solo. Per preparare l’imminente domani, l’agenzia sta costruendo il nuovo poligono spaziale di Vostochny, nell’estremo oriente russo, dal quale lanciare il nuovo vettore Angara. E dal 2014 inizierà a tornare sulla Luna, con la sonda LunaGlob e poi con veicoli più avanzati. «Uno degli interessi più rilevanti è l’estrazione di elio-3 dal suolo lunare con il quale alimentare i futuri reattori a fusione per fornire energia pulita sulla Terra», spiega Erik Galimov, direttore del Vernadsky Institute di geochimica di Mosca e coordinatore delle ricerche lunari.
Un interesse, questo, sul quale la Russia vuol coinvolgere altre nazioni ipotizzando la costruzione di una colonia. «Oggi sappiamo che esiste acqua nei poli lunari», dice Vladimir Popovkin, presidente di Roskosmos, «per questo abbiamo iniziato a discutere con Nasa ed Esa come avviare l’esplorazione di questa e altre risorse. Con due opzioni raggiungibili tra il 2020 e il 2030: costruire una base permanente nelle regioni polari o lanciare una stazione spaziale intorno alla Luna». «Nel cosmo dobbiamo avere una strategia», ha aggiunto lo stesso presidente Vladimir Putin in aprile, approvando il nuovo piano della sua agenzia spaziale. Lo sta già attuando, senza clamori: in Russia il mondo dello spazio è molto legato alla Difesa. Proprio come in Cina.
Giovanni Caprara