Cesare Fiumi, Sette 3/8/2012, 3 agosto 2012
QUESTO FUNERALE NON S’HA DA FARE
Una preghiera, una benedizione e tanti saluti. Per la seconda volta in pochi mesi.
Il parroco di turno, stavolta quello di Siculiana, è andato a trovare i parenti del defunto, testimoniando assistenza spirituale e cristiana pietà. Quindi si è accomiatato e se n’è andato, spiegando che per il morto non ci sarebbe stato funerale. Non religioso, almeno. Proclamando così la fine dell’ambiguità.
Ci sono storie che passano quasi sotto silenzio quando celano svolte epocali e andrebbero rammentate ogni momento, quasi un memento. E un ammonimento a replicare, a dare loro un seguito: palestra d’orgoglio e Curia ricostituente per una Chiesa stanca e affannata e avvelenata, percorsa da faglie di autodistruzione. E invece se n’è parlato poco o niente.
Supremazia criminale. Giuseppe Lo Mascolo da Siculiana, 73 anni, è morto quattro giorni dopo il blitz antimafia denominato Nuova Cupola, che ha spedito in carcere 49 persone, tra boss e affiliati alle cosche agrigentine. Considerato uno dei vice della cosca locale, aveva ottenuto gli arresti domiciliari. Non i funerali religiosi, però: negati dal vescovo di Agrigento Francesco Montenegro che, già all’indomani del blitz, aveva avuto in chiesa parole durissime contro «la mafia che usando la violenza decide sulle scelte politiche ed economiche». E che «per favorire guadagni illeciti e supremazia criminale, ha interesse a incrementare clientelismo ed emarginazione, ripudiando le forme pacifiche e oneste di vita». Concludendo: «Credere non è sapere le preghiere e recitarle, né partecipare alle processioni». Che sono, assieme ai funerali, le passerelle preferite dei capibastone – vedi la statua di San Catello fatta sostare davanti all’abitazione del boss, a Castellammare di Stabia, finché il vescovo, lo scorso maggio, ha detto basta –, che così si sentono protagonisti legittimati del rito.
E allora pazienza se nella navata del Santissimo Crocifisso di Siculiana è tutto pronto per l’(auto)celebrazione del boss mafioso. Una benedizione basta e avanza. Niente “paranza” da esibire, niente esercizio di mafiosa potenza, nel nome di Dio.
Era già accaduto in dicembre, quando il vescovo Michele Pennisi aveva detto no alle esequie di Daniele Emmanuello, «il vero capo di Cosa Nostra a Gela», rimasto ucciso durante un conflitto a fuoco con la Polizia durante un blitz a Villapriolo. «Ti sei alleato con la magistratura e le autorità che combattono la mafia», gli aveva gridato contro un volantino anonimo. E una lettera minatoria aveva alzato il tiro: «Morirai come Gesù Cristo». Tanto che durante la processione del Venerdì Santo a Gela, al vescovo erano stati assegnati due agenti di scorta, dopo la sua invocazione: «Il Signore ci liberi dal pizzo e dalla mafia». Alla faccia di chi sfodera santini e altari, rosari e invocazioni, perché come ha tagliato corto l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo: «I comportamenti mafiosi sono comunque antievangelici».
CAMBIARE L’ARIA. In quest’angolo di Sicilia la Chiesa ha devvero archiviato l’ambiguità. Nella speranza che la gora anti-mafia – ora che Benedetto XVI ha annunciato la beatificazione di don Pino Puglisi, il parroco del rione Brancaccio di Palermo, assassinato dalle cosche 19 anni fa – si allarghi fino a coprire ogni lembo dell’isola, se ancora a gennaio, a Messina, giusto mentre il vescovo Pennisi rifiutava i funerali religiosi al capobastone di Gela, il parroco di Villafranca Tirrena, nel Messinese, celebrava in pompa magna, con tanto di vigili urbani in alta uniforme offerti dal municipio, quelli del boss Santo Sfameni. Ringraziando il defunto per aver offerto alla parrocchia la gradinata del campetto di calcio e ricordandolo come persona specchiata. Senza alcun riferimento – davvero una curiosa dimenticanza – al suo record provinciale di beni confiscati dalla Legge e all’accusa di aver protetto, a suo tempo, gli assassini, condannati all’ergastolo, della giovane Graziella Campagna.
Aveva 17 anni quando fu condannata a morte da quella mafia che oggi, – almeno ad Agrigento e a Gela – due vescovi impediscono che venga celebrata. Facendo giusto a lei, in questo modo, il funerale.