Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 1/8/2012;, 1 agosto 2012
CASO LIGRESTI, MICROFONI NASCOSTI NEL SALOTTO BUONO
Salotti buoni? Sì, salotti buoni. Continuiamo a chiamarli così, per comodità. Perché cambiare solo adesso, al momento del disastro definitivo, opinione sulla famiglia Ligresti? Fino a poche settimane fa il capostipite Salvatore e gli intrepidi figli Jonella, Giulia e Paolo sono stati portati in palmo di mano come campioni del miglior capitalismo italiano, quello sulle cui sorti vigilano, attenti e premurosi, i sussiegosi maghi della finanza asserragliati nella riservata palazzina milanese che è sede di Medio-banca. Solo ora che non ci stanno a uscire di scena a mani vuote, e si esprimono pubblicamente con quello stile, come dire?, aggressivo che li ha sempre caratterizzati, gli ipocriti si scandalizzano.
ALLORA, per cominciare, ricordiamo che già 15 anni fa Salvatore Ligresti dovette lasciare la presidenza della compagnia di assicurazioni Sai in seguito alla perdita dei “requisiti di onorabilità”, dovuta a una condanna a due anni e cinque mesi nel processo per le tangenti Eni-Sai, epoca Tangentopoli. Al vertice subentrò la figlia primogenita Jonella, e lui, persi i requisiti di onorabilità, fu giustamente nominato presidente onorario. Poco dopo fu accolto a braccia aperte nel consiglio d’amministrazione di Unicredit, che adesso non sa come recuperare le centinaia di milioni prestate alle disastrate società dei Ligresti.
E quindi i signori di Mediobanca e gli altri frequentatori dei salotti buoni hanno poco da lamentarsi se i Ligresti concludono la loro parabola nel paradiso dei padroni coinvolgendo soci e amici in una rissa da cortile, a metà strada tra spy story e Alberto Sordi. In gioco ci sono da una parte il destino di due grandi compagnie di assicurazioni (Fonsai e Unipol), miliardi di euro delle banche finanziatrici, migliaia di posti di lavoro; dall’altra parte, l’istinto predatorio dei capitalisti di razza all’italiana, che non si rassegnano alla perdita dei loro privilegi: un ufficio con segretaria e vettura con autista per papà Salvatore, un pacco di soldi per Jonella, uno stipendio sicuro e sontuoso per Giulia e Paolo. È questo il capitalismo coccolato per decenni dal capostipite di Mediobanca, Enrico Cuccia, che non si è mai arricchito, ma amava dirigere l’orchestra, anche se i solisti non li sapeva scegliere, o li subiva.
Fatto sta che adesso il salotto buono è nelle mani della magistratura. Il pubblico ministero milanese Luigi Orsi indaga, interroga, perquisisce. Vuole sapere se è vero che c’è un accordo segreto, firmato da Salvatore Ligresti e dall’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, che garantisce alla famiglia una sontuosa buonuscita, 45 milioni di euro oltre ai benefit di cui sopra. La buonuscita è un fallo da rigore, in questo caso. Perché per salvare la Fonsai, due miliardi di perdite solo negli ultimi due anni, Medio-banca, storico tutore della compagnia assicurativa, ha chiamato in causa la Unipol, cassaforte delle cooperative rosse. Le due compagnie devono fondersi, cioè Fonsai va salvata con i soldi delle cooperative, perché la compagnia non può fallire né essere commissariata: il rischio che arrivi un estraneo, sotto forma di liquidatore e commissario e apra i cassetti va sventato a ogni costo.
Nella complessa operazione finanziaria Unipol diventa padrona senza obbligo di comprare tutte le quote dai piccoli azionisti Fonsai: la Consob, che vigila sui mercati finanziari, ha escluso l’obbligo a condizione che non ci siano trattamenti di favore per nessun socio. Neppure per i Ligresti. La buonuscita farebbe dunque saltare l’operazione.
Ed ecco che il magistrato Orsi viene a sapere che un accordo segreto forse c’è. Lo sostiene Ligresti padre, che dice di averlo firmato con Nagel il 17 maggio. Dice che il contratto è stato affidato all’avvocato Cristina Rossello, segretario del patto di sindacato di Mediobanca. La Rossello è un personaggio notevole. Allieva del grande civilista Ariberto Mignoli, ne ha rilevato lo studio e sostiene giuliva che i suoi clienti messi insieme fatturano il dieci per cento del Pil italiano.
Orsi è andato a chiederle il contratto, lei ha opposto il segreto professionale, poi ha accettato di farselo sequestrare. Mossa decisa dopo essersi consulata con l’amico Niccolò Ghedini, con cui condivide l’emozione di curare gli interessi legali di Silvio Berlusconi. Lui presidia i processi penali, lei la assai più impegnativa causa di separazione da Veronica Lario.
LA ROSSELLO consegna ai magistrati un manoscritto prive di firme, tenuto però in cassaforte. Ma ecco che Jonella Ligresti, diventata combattiva nelle gare di equitazione disputate in groppa a purosangue comprati a spese della Fonsai, si presenta nel suo studio con il microfono nascosto, e registra la conversazione con espliciti riferimenti all’esistenza di quel contratto firmato. La Rossello si becca quattro ore di interrogatorio in procura. Non è chiaro l’obiettivo dei Ligresti: riuscire a incassare il pattuito o far saltare tutta l’operazione? Fatto sta che Mediobanca nega l’esistenza di ogni accordo, e precisa che l’avvocato Rossello non la rappresenta. Salotti milanesi di un capitalismo che organizza così l’uscita dalla crisi.