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 2012  agosto 02 Giovedì calendario

«STANCO DEL ’68, LE CHIESI LA MANO»

Si dice: è inevitabile, chiedete all’uomo felicemente sposato di parlare degli amori passati, è quello si rifugia nell’elogio della moglie. Poi, ascoltando il racconto dell’archistar Mario Botta, che di anni al fianco della sua Maria ne ha trascorsi finora cinquanta (44 di matrimonio), viene il dubbio che non sia tutto così semplice. Perché l’innamoramento tra l’apprendista disegnatore di belle speranze e la graziosa segretaria diciottenne, avvenuto nel 1962 alla stazione svizzera di Mendrisio, fa venire in mente piuttosto una categoria fuori moda: gli amori «per sempre», dove l’aggettivo «fatale» rima con «finale» e «totale» (anche se il timbro di garanzia poi si incarica di metterlo il tempo).
Per dirlo con le parole di lui: «L’incontro con la donna giusta è come l’avventura, o l’atto creativo, in cui agisci senza sapere dove stai andando». Qualche anno d’attesa c’è stato, però, tra Mario e Maria, come nei fidanzamenti d’una volta, all’insegna «di una grande tenerezza ispirata dalla giovanissima età di lei». Poi succede che, all’improvviso, nel mezzo del fatidico 1968, a Venezia, dove Mario Botta è andato da solo a studiare architettura, «imbarcandosi nell’euforia della contestazione, studiando tra uno sciopero e l’altro», la scintilla produce i suoi effetti. Sarà che la lontananza, come il vento, provoca incendi: non lo cantava Domenico Modugno? La decisione improvvisa lui la prende in aprile, proprio alla vigilia dei moti parigini: «Non riuscivo più a sopportare i tempi vuoti delle assemblee, mi sono reso conto che l’ideologia prevaleva sullo spirito critico e creativo, ho sentito di dover agire, realizzare qualcosa di concreto». E cioè? «Dovevo tornare a Mendrisio e chiedere a Mary di sposarmi». (Mary, all’inglese, è il modo in cui lui poi continuerà spesso a chiamarla).
«E fu una cosa vera finalmente — parole di Botta — da opporre ai discorsi astratti, inconcludenti, del Sessantotto». Certo, non una decisione presa solo di testa: «Ho sentito con chiarezza che con lei avrei potuto trascorrere tutta la vita. È stata una specie di rivelazione, come adottare una Weltanschauung, una visione del mondo». Ed eccola, la definizione della «chiarezza» in amore, secondo Botta, quella destinata a scavalcare il mezzo secolo di durata: «I sentimenti puri funzionano come un filtro, illuminano paesaggi sconosciuti, mettono in pace con se stessi, permettono di spingere lo sguardo oltre l’ultimo orizzonte».
A voler essere irriverenti, si potrebbe osservare che l’amore tra Mary e Mario Botta è in realtà un triangolo: ci sono sempre lei, lui, e l’arte. «Nel senso della condivisione emotiva. È molto più bello visitare mostre in due, anziché da soli, si tratti poi di Picasso, Moore o Giacometti. Scoprire con Mary la Milano delle gallerie, la Parigi di Le Corbusier, la Venezia di Carlo Scarpa, è stato un crescere insieme». Una complicità che ha alimentato l’amore: «Soprattutto il romanico lombardo: la chiesa di San Nicolao a Giornico, San Pietro al Monte di Civate, il Battistero di Almenno. E in Francia, la chiesa di Tournus. Anziché l’innamoramento romantico, noi due abbiamo avuto quello romanico».
C’è stata in più la passione di Mario Botta, cresciuto in una famiglia matriarcale, per lo sguardo femminile: «Perché è diverso, più intrigante, misterioso, perché possiede una forza biologica che gli uomini non hanno. E poi i suoi silenzi! A proposito dello sguardo di donna, una delle prime grandi emozioni che poi avrei ritrovato in Mary me l’ha suscitata l’arte di Giacometti: un continuo sforzo di penetrare un segreto, con la consapevolezza di non poterci mai riuscire». Certo, altre donne gli mostreranno questo singolare potere: artiste eclettiche come la surrealista Méret Oppenheim, o Niki de Saint Phalle. Nulla, tuttavia, che possa paragonarsi alla scelta «assolutamente monogamica» di vivere con Mary: «monogamo lo sono al punto da poter guardare con interesse le altre donne». Perché anche rinunciare è parte dell’amore: «Se non ne sei capace, non hai una donna, ma tutte le donne del mondo». Una volta fatta la scelta, non torni più indietro: «Rifiuti le lusinghe consumistiche, i rapporti competitivi, comprendi che rinunciare alla tua Mary sarebbe come amputare te stesso. Così di lei ti innamori e rinnamori, ciclicamente, come succede per un’opera d’arte. Semplice, no?».
Dario Fertilio