Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 22/07/2012, 22 luglio 2012
LARRAZ, L’ORGIA DEL POTERE
«Ho lavorato per il New York Times, il Washington Post, il Time Magazine e altre importanti testate statunitensi, ma ho sempre sentito di essere pittore, fin da quando, da piccolo, vidi tra i libri di mio padre i dipinti di Caravaggio», sostiene Julio Larraz. E nella sua prima grande antologica italiana, che resterà aperta fino al 30 settembre nell’ Ala Brasini del Complesso del Vittoriano (ingresso da via San Pietro in Carcere), Larraz presenta, tra le cento opere esposte, anche un omaggio - ironico - al grande maestro lombardo: una canestra di frutta intitolata Finisterre e risalente al 1976. A quel tempo l’ artista viveva a San Patricio, in New Mexico, che l’ aveva affascinato con la luce e l’ atmosfera delle aride colline della Hondo Valley. Una luce che forse gli ricordava quella di Cuba, l’ isola dove era nato, il 12 marzo 1944, e aveva vissuto fino al 1961, quando si trasferì con i genitori a Miami, poi a Washington e infine a New York. È qui che cominciò a pubblicare su giornali e riviste le caricature politiche che disegnava fin da giovanissimo. Ma nel 1967 decise di dedicarsi interamente alla pittura. «Dipingo ciò che mi interessa - dice oggi - non per la critica o per il pubblico. Un artista deve essere autentico, svelare e denunciare al mondo la verità e le ingiustizie. Il dovere di ogni pittore è informare». Al Vittoriano si può seguire l’ intero percorso artistico di Larraz, dalle caricature degli anni Settanta (in cui compaiono i potenti del mondo, da Kennedy a Nixon, da Reagan a Indira Gandhi, da Sadat a Breznev) fino ai recenti bronzi colorati, intitolati SPQR come l’ acronimo del latino Senatus Populusque Romanus, che figura tutt’ oggi sullo stemma della città di Roma. Bronzi che raffigurano volti del potere devastati dalla vecchiaia, praticamente mummificati. In mezzo, la carrellata delle tele, in cui i motivi sono talmente numerosi che Luca Beatrice, curatore della rassegna, ha dovuto usare tutte le lettere dell’ alfabeto per elencarli: da A come allegoria, fino a Z come «Z-L’ orgia del potere», parafrasando il titolo del famoso film di Costa Gavras. Tra i temi costanti, quello del Bagno, con «donne e uomini che nuotano, galleggiano, emergono dalle profondità del mare, oppure si godono il fresco dell’ acqua in piscine di lussuose ville che ricordano le atmosfere dei celebri dipinti di David Hockney». Quello del Circo, con acrobati, clown, equilibristi, mangiatori di fuoco, ballerine e animali «che recitano ogni giorno la propria metafora esistenziale tra sorriso e pianto». Quello dei Militari in divisa, resi grotteschi dalla sovrabbondanza di mostrine. Quello della Libertà esercitata spaziando «nei territori più impervi della figurazione»; della Donna, esplorata nelle molteplici versioni di ispiratrice e anima nera, metropolitana futurista e vecchia madre, modella e moglie ingioiellata del mafioso. Ma dalle grandi tele popolate di mari azzurri, isole, palme, case bianche emerge con prepotenza l’ amore intenso e struggente dell’ artista per la sua isola, come giustamente ha notato Alessandro Nicosia, presidente di Comunicare Organizzando, che ha voluto la mostra. E bisognerebbe aggiungere che, nonostante Larraz sia partito da Cuba quasi bambino, il suo percorso si è sviluppato parallelamente a quello degli artisti che sono rimasti laggiù. Perché nelle sue tele fluttuano gli stessi fantasmi, ricordi, desideri che si ritrovano nei quadri dei contemporanei cubani, come Jorge Rios, Juan Carlos Garcia, Rafael Zarza, Alejandro Sainz Alfonso, Max Delgado.
Lauretta Colonnelli