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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

ROMA IMMAGINATA SULLE ANTICHE MAPPE

Per architetti e urbanisti rappresenta uno strumento di lavoro irrinunciabile. Per i profani è un viaggio nel mondo delle meraviglie. Basta sfogliare il bel volume «Piante di Roma, dal Rinascimento ai Catasti», che esce a cinquant’ anni esatti dalla monumentale «Le piante di Roma» di Frutaz, per restarne prigionieri. Curato da Mario Bevilacqua e Marcello Fagiolo, raccoglie i contributi presentati dai maggiori specialisti italiani e stranieri ai due convegni internazionali organizzati nel 2009 e 2010 dal Centro di studi sulla cultura e l’ immagine di Roma nella sede dell’ Istituto nazionale per la Grafica. Ma soprattutto pubblica le principali vedute e piante della città, intessendo un racconto visivo sulle sue trasformazioni urbanistiche, dagli albori del Rinascimento ai primi dell’ Ottocento. Perché è vero che esisteva la grandiosa Forma Urbis severiana, in parte visibile ancora oggi nelle lastre di marmo esposte ai Fori. Ma durante tutto il Medioevo si perde l’ immagine cartografica e bisognerà aspettare il Quattrocento per vedere i tentativi di architetti come Brunelleschi, Leon Battista Alberti e Giuliano da Sangallo impegnati a rilevare le rovine antiche per costruire una nuova topografia della città antica e moderna. Ricerca proseguita in seguito da Raffaello, Leonardo Bufalini, Pirro Ligorio. Per avere un’ idea di come Roma veniva immaginata dai pellegrini che si mettevano in viaggio per visitarla, basta osservare le prime mappe riprodotte nel volume. La miniatura su pergamena (conservata presso la Biblioteca apostolica vaticana) mostra un sito non più grande di un villaggio, con il semicerchio delle mura aureliane, il nastro del Tevere e, in mezzo a una radura color sabbia come un deserto, le icone del Colosseo e del Pantheon, un accenno di ponte Milvio, la colonna Traiana, la Piramide, qualche chiesetta, qualche edificio oggi irriconoscibile. Nella veduta di Roma conservata a Mantova (1538) e dipinta a tempera su tela, ai monumenti antichi ritratti in mezzo a prati verdi si aggiungono le casette medievali addensate in una macchia rossastra fra il teatro di Marcello e il Pantheon. Qui, per la prima volta nella cartografia di Roma, la città è vista da oriente, cioè dalla direzione di Costantinopoli e di Troia, da cui proveniva Enea. Le piante realizzate per indicare i percorsi ai pellegrini erano invece orientate con il nord in basso, per facilitare la consultazione a coloro che entravano nella Città Eterna dalla porta situata nell’ odierna piazza del Popolo. Nonostante la cartografia geografica, grazie all’ invenzione della bussola, avesse adottato già da secoli il nord in alto, bisognerà aspettare la «Nuova Pianta» di Giovan Battista Nolli (1748) per avere una rappresentazione di Roma orientata in tal senso. Intanto cominciano ad apparire le prime vedute panoramiche, con punti di osservazione stabiliti sul Pincio, sul Quirinale e sull’ Esquilino. Si personalizzano alcune piante con rappresentazioni di episodi storici come le invasioni barbariche o il Sacco del 1527. Compaiono le prime planimetrie in scala e, nel periodo della Controriforma, le piante-emblemi, che ostentano magnificenza per esaltare la capitale del cattolicesimo. Nel 1618 Matthaus Greuter, che qualche anno prima aveva assistito alla dimostrazione del cannocchiale di Galileo e l’ aveva puntato dal Gianicolo sulla città, disegna una Pianta in cui sembra di vedere Roma da un’ altezza vertiginosa, ma al tempo stesso in ogni minimo particolare del suo tessuto urbano. Piante che nel ’ 900 diventano oggetto di collezionismo. Arrivano perfino in una sperduta fattoria islandese, dove un bambino di nome Halldor Laxness (che prenderà nel 1955 il Nobel per la Letteratura) sfoglia per la prima volta un libro illustrato e resta stupito davanti alla «figura della città di Roma, grande quanto la montagna sopra il casale».
Lauretta Colonnelli