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 2012  luglio 31 Martedì calendario

QUANTO CI MANCA GASSMAN

Ho capito che il tempo presente di Vittorio Gassman era definitivamente volato via qualche anno fa, a bordo di un taxi, mentre tagliavamo piazzale degli Eroi, quartiere Trionfale di Roma. Il conducente, intanto che mi portava verso Saxa Rubra, narrava, amaro, di suo figlio, già piccolo divo-caschetto biondo degli anni Settanta, e alla mia domanda sul perché mai quest’ultimo fosse sparito dal mondo dei flani mi ha raccontato una triste verità privata che tuttavia, almeno ai miei occhi, è sembrata una metafora del cambio di gestione epocale: “…Sa, signore mio, ogni volta che si presentava ai provini, gli spiegavano che la parte era già stata data a Gassman e a Tognazzi”. Ho impiegato qualche secondo a realizzare che l’uomo si stesse riferendo ad Alessandro, non a Vittorio. Così come a Gianmarco o a Ricky, e non a Ugo, i volti dell’infanzia e dell’adolescenza cinematografica per molti di noi. I padri, non certo i figli. Questa mollica di microstoria mi è tornata in mente l’altra sera mentre su Rai1 scorreva un bel documentario realizzato nel 2010 dal regista Giancarlo Scarchilli (“Mi fai un favore”, “Scrivilo sui muri”…), “Vitto-rio racconta Gassman, una vita da mattatore”, il titolo più che pertinente. Adesso soltanto la pedanteria potrebbe spingerci a riassumere l’avventura teatrale e cinematografica dell’Attore Impostato Nazionale Per Definizione, dal perfido in “Riso amaro” all’enfatico di “Kean: genio e sregolatezza”, dal Bruno Cortona de “Il sorpasso” alla metafora comunque terminale di “Profumo di donna”, e poi l’esperienza del Teatro Popolare Italiano e ancora tutto il resto.
MOLTO MEGLIO, prendendo spunto dai filmati di repertorio (anche Super8 privati) provare a spiegare cosa hanno rappresentato la voce, il volto e perfino il birignao di un Gassman nel paesaggio spettacolare italiano. Sembrava quasi che il paese, uscito dalla guerra, avesse meritato i suoi nuovi “colonnelli”, così come erano chiamate le pietre d’angolo della “commedia all’italiana”, Gassman in testa. Sorta di maschere di un tempo divistico che comprendeva, sì, “L’Adelchi”, ma anche il cinemondo nel quale, sempre lui, Gassman sorrideva davanti al muro di flash alla prima de “I soliti ignoti”, o piuttosto irrompeva, ed è già il 1971, a “Canzonissima” per mettere in scena la recita della propria automitologia: lui a bordo di una biga, la frusta brandita sulle teste delle portatrici, belle come indossatrici di zibellini, l’alloro intorno alle sue tempie, e poi subito una dimostrazione di talento atletico al limite della farsa: un capitombolo sul pavimento fino a raggiungere la prova decisiva dei tre budini da mangiare in un solo colpo. Erano immediati a quel punto gli applausi da parte di un pubblico sicuro ormai che, in ogni suo gesto, Vittorio fosse una sorta di Divo Cesare Augusto in grado di imperare su tutti gli schermi. Il documentario di Scarchilli, riportando in vita le immagini di quel tempo invidiabile, ovviamente precluso ai non protagonisti, alla gente comune, dove c’è modo di assistere a una festa a bordo-piscina con Monicelli, Sergio Leone, Monica Vitti, Tognazzi, Rascel, Sandrelli, ha avuto il merito di stabilire la certezza terribile e insieme naturale che nulla ha potuto essere in seguito come prima. Dopo i “colonnelli” il diluvio; presidiato dalle ombre dei naturali discendenti. Sipario.