Guglielmo Sanvito, ItaliaOggi 1/8/2012, 1 agosto 2012
L’INDIA È UNA GRANDE POTENZA IL BLACKOUT, SEGNO PREMONITORE
Ben 360 milioni di indiani sono rimasti senza energia elettrica: la «madre di tutti i blackout», hanno scritto i giornali di mezzo mondo. Bloccati nelle metropolitane e negli ascensori, senza luce elettrica, con i frigoriferi che mandavano in malora i cibi. Come accadde a New York nel 1977. nove mesi più tardi la Grande mela festeggiò una improvvisa impennata nella crescita democratica (d’altronde, al buio, senza televisione, come vuoi impiegare la notte?). In India le nascite sono sempre cospicue, e quindi si spera che i 360 milioni abbiano contenuto i desideri carnali. Colpa dei monsoni che ritardano, hanno spiegato le autorità: i fiumi ne risentono, e le centrali idroelettriche sono in deficit di risorse.
La notizia colpisce, perché l’India, negli ultimi anni, è entrata nel gruppo ristretto delle grandi potenze economiche. Si prevede che fra una quindicina di anni possa scavalcare l’Europa intera come fatturato e ricchezza. Ma lo sviluppo del continente indiano è subordinato alle carenze della pubblica amministrazione, che è corrotta e inefficiente. Non ha saputo dare al Paese una politica energetica all’altezza del nuovo ruolo nazionale. Basta un ritardo dei monsoni, e l’elettricità viene razionata, dando la precedenza ai contadini che devono irrigare i loro campi per evitare il rischio carestia. Gli indiani (dicono) l’hanno presa bene. Sono filosofi e fatalisti: virtù forgiate dalla miseria che ha afflitto il Paese fino a pochi anni or sono, prima del boom tecnologico che ha visto uscire il Paese dal Medioevo.
L’India è lontanissima da noi. Ma come la Cina (di Marco Bellocchio) è sempre più vicina. Ci contende i mercati, ci sfida con la crescita costante, mentre noi siamo in recessione. E i nostri problemi, riguardo alla pubblica amministrazione, sono molto simili ai loro.
La nostra politica energetica fa acqua da tutte le parti. Abbiamo rinunciato al nucleare (in via definitiva dopo il disastro di Fukushima).
Siamo un Paese che da trent’anni parla di riforme, ma si guarda bene dal realizzarle. Acquistiamo energia dalla Francia e dalla Svizzera (nostri vicini di casa) e dipendiamo da loro (oltre che dal gas russo e algerino).
Il rischio blackout è sempre presente. Come, più in generale, il rischio di declassamento economico. Non siamo competitivi, per carenze strutturali che nessuno dei governi che si sono avvicendati negli ultimi decenni è riuscito a sanare (e, forse, non ha neppure tentato di sanare).
Non solo: rispetto all’India, siamo un Paese abituato al consumismo e allo sperpero costante di risorse, e che, di conseguenza, corre rischi molto maggiori. Soltanto la grave crisi dell’euro ci ha costretto a tirare la cinghia, ma siamo tutti portati a considerare questa come una fase del tutto provvisoria, pronti a riprendere a scialacquare non appena le lucette rosse dell’allarme si saranno spente.
Probabilmente, invece, sarebbe il caso di rivedere drasticamente le abitudini di vita, mettendo mano contemporaneamente alle riforme indispensabili per riavviare uno sviluppo «adulto» del sistema Paese. Come ha detto Mario Monti all’inizio del suo mandato di governo, abbiamo vissuto per troppo tempo al di sopra delle nostre possibilità. Con il risultato di dipendere dagli altri e di accumulare debiti. L’India, da questo punto di vista, sta molto meglio di noi, perché si affaccia adesso nel consumismo. I suoi sono difetti di crescita. I nostri sono i problemi di una popolazione anziana, che si volge indietro con nostalgia, ricordando i tempi della giovinezza «che si fugge tuttavia».