Mattia Chiusano, la Repubblica 1/8/2012, 1 agosto 2012
PER L’EGITTO E PER ALLAH LO STORICO PODIO DI ALAAELDIN
Il fioretto di Allah è un ragazzo di ventuno anni che ne dimostra trenta. Aveva una bella faccia pienotta, poi si è fatto crescere una barba che trasmette saggezza, equilibrio, forza pacifica. Non trema, non si spaventa, suda poco. È alto, ben piazzato, gentile, Alaaeldin Abouelkassem: «Ho battuto Cassarà, il fiorettista più famoso del mondo. Ma per favore, adesso devo andare, devo concentrarmi sulla semifinale». Si gode il suo momento, fino al punto più alto mai raggiunto da uno schermidore africano, e arabo: una finale olimpica, persa poi con un cinese, Shang Lei, una cartolina illustrata per chi pensa ancora che la scherma sia una questione di quattro-cinque paesi, dopo anni di imprese americane e asiatiche, preludio di questa notte incredibile in cui la primavera araba fa capolino anche in un avamposto dello sport occidentale, il famoso fioretto delle sfide tra francesi, tedeschi ed italiani, quando gli azzurri si chiamavano Dal Zotto, Numa, Borella, Cerioni. E bastava sentire i nervi a fiori di pelle dei nostri, Baldini deluso e impettito dopo il quarto posto, Cassarà stravolto, Aspromonte stordito, per intuire l’arrivo di un nuovo mondo.
Aladino non ha lasciato l’Egitto per far fortuna da qualche altra parte. «Mia madre è algerina, ma io vivo ad Alessandria, vivo lontano da piazza Tahrir, ma vi assicuro che sono sempre stato dalla parte dei manifestanti». Aladino
prima di partire per Londra si è consultato con l’imam, che gli ha dato il via libera: «Osserverai il Ramadan al tuo ritorno in Egitto. Io credo che la mia impresa ispirerà altri africani e arabi, noi egiziani ci siamo qualificati in dodici, una tunisina stava per eliminare la Vezzali. Noi abbiamo un Progetto
Nazionale che non mi fa mancare niente, il maestro polacco, gli stage in Germania, però sono l’unico a godere di questo trattamento».
È bastato, eccome se è bastato. Ad eliminare negli ottavi il quattro volte campione del mondo Joppich, poi nei quarti Cassarà, che arrivava a Londra con due
scomodi compagni di viaggio: la medaglia d’oro ai Mondiali di Catania e una toxoplasmosi debellata a marzo per poi ripresentarsi, se sono veri certi test di cui ha parlato il bresciano, proprio alla vigilia di Londra. «Ho iniziato a sentire subito una gamba che faceva male. È stato un quadriennio molto pesante, e ultimamente non sono stato troppo bene. Temo una ricaduta ». Valerio Aspromonte è venuto alle Olimpiadi per vivere col cinese che sarà medaglia d’oro la peggior crisi mai capitata, nemmeno da bambino sulle pedane di Frascati: «Undici stoccate consecutive, mai successo. Ho vissuto trenta secondi di buio, ero in balia del cinese, non riuscivo nemmeno a pensare come uscirne ».
Il migliore è stato Andrea Baldini, partito con una grinta che sembrava rabbia, la rabbia dell’Olimpiade persa quattro anni fa a Pechino, con tutte le polemiche che hanno avvelenato l’ambiente. «La rabbia per Pechino l’ho abbandonata tre anni fa, qui volevo vincere divertendomi». Ha cominciato a non divertirsi più in semifinale, col cinese, vero castigaitaliani, ha concluso con Choi, assalto condito da qualche veleno dopo che, tardivamente, il coreano è stato costretto a cambiare divisa per un problema elettrico che falsava le azioni: «Questo non è più sport, noi atleti ci siamo abituati a questo problema del wireless, ci sono volute tre stoccate per spingere l’arbitro a controllare la sua divisa». Ma la scherma non è solo questione di luci e bluetooth. Serve il cuore, il cuore di Aladino.