Giampiero Mughini, Libero 31/7/2012, 31 luglio 2012
DIFFIDATE DELLE RIFORME ELETTORALI
Confesso che è al di sopra delle mie forze. Capire per bene la portata della diatriba sulla riforma della legge elettorale che pur sta arroventando il confronto tra i partiti italiani o quel che ne resta. Non è che me ne vanti di non capire, è solo che non capisco. E dire che un esame di diritto costituzionale l’ho fatto e che qualche libro di storia dei partiti e di teoria politica li ho letti. Deve essere che l’argomento mi interessa poco, e non che io sia indifferente ai destini politici del Paese in cui vivo. Nel senso piuttosto che sono convinto che non si parte da lì a spiegare quale sarà la posta in gioco delle prossime elezioni. Di più ancora. Sono convinto che i partiti suonino a tal punto il tamburo della riforma elettorale per occultare il vuoto allarmante delle loro proposte politiche fronte all’apocalisse della società e dell’economia occidentale. Fronte alla crisi profonda dei partiti e della politica per come noi figli del Novecento eravamo abituati a reputarla e tenerla in considerazione. Fronte allo sfasciamento dell’architettura bipolare su cui era stata inventata dal nulla la Seconda repubblica, un bipolarismo che non è mai esistito nella sua storia effettuale tanto che i governi dell’una o dell’altra coalizione cadevano trafitti dal comportamento di fasce elettoralmente esigue o comunque largamente minoritarie di quella coalizione. Un Umberto Bossi “in canotta” buttò giù un governo Berlusconi che aveva stravinto le elezioni del 1994; nientemeno che Fausto Bertinotti e una frazione di Rifondazione comunista sgambettarono Romano Prodi. Né deve essere un caso che questo stramaledetto “Porcellum”, ossia la legge elettorale quale la volle fortemente Silvio Berlusconi nel 2005 e che in molti del Pd e ampi dintorni indicano come foriera di ogni male, sia sopravvissuta a ben tre referendum abrogativi. Nel senso che ogni volta a votare se «sì» o «no» erano meno del cinquanta per cento degli aventi diritto, e perciò il risultato del referendum valeva un fico secco. Detto altrimenti: che ci fosse ono il “Porcellum” gli elettori italiani se ne strainfischiavano. Colpa loro, direte. Può darsi. E oggi, mentre l’euro ha la febbre altissima e alcuni Comuni rischiano di non avere i soldi di che pagare gli stipendi a fine mese e siamo in piena recessione pur in presenza di un prelievo fiscale che uccide il contribuente onesto? Ebbene in questa situazione, quanti sono gli italiani che al mattino si strappano i capelli al pensiero che la legge elettorale vada nel senso di privilegiare “il proporzionalismo” o il bipolarismo? Certo che sono d’accordo con tutti quelli di voi che dicono ad alta voce che i vertici dei partiti non devono avere la prepotenza di “bloccare” i nomi dei loro candidati e dunque costringervi ad eleggere una simil- Minetti. D’accordissimo. Solo che nella loro buona maggioranza i nomi dei candidati nelle varie liste partitiche di questo terzo millennio non sono quelli di Premi Nobel, di personalità comunque eccellenti e adamantine. Non lo sono proprio. Gli apologeti della democrazia di massa non me ne vogliano, ma il voto nella sua grande parte è cieco, va dove spira il vento, e se questo vale per i Premi letterari i più rinomati, vale cento volte di più per l’esito di una consultazione elettorale in una provincia meridionale. Ovvio che in fatto di riforma elettorale è meglio andare verso il meglio e non verso il peggio. Solo che da noi il difetto è nel manico: in un bipolarismo che non esiste. E che non esiste oggi ancor più di quanto non esistesse nel 1994. Tanto è vero che sono numerosi i gruppi di amici che una sera vanno a cena e che all’indomani presenteranno una loro lista elettorale con tanto di stemma e di appelli ideali. Sto pensando al mio amico Oscar Giannino, e ai suoi propositi di entrare nella zuffa elettorale. Io sono liberale quanto lui, ma non credo che sia rilevante mettere assieme un po’ di gente simpatica e raccogliere lo 0,9 dei consensi. Non è quello 0,9 o poco più che farà scendere le tasse. Per questo ci vuole un governo, ossia una coalizione leale e responsabile e che duri nel tempo. Di questo andrebbe detto il chi e il come. “Porcellum”non “Porcellum”, a non andare a votare alle prossime elezioni saremo il 35 per cento degli italiani. O mi sbaglio?