Elio Trifari, La Gazzetta dello Sport 1/8/2012, 1 agosto 2012
DAGLI SPORT DA COMBATTIMENTO IL 45% DEL NOSTRO MEDAGLIERE OLIMPICO
La Bbc ha cominciato a sfotterci fin dal primo giorno («Pistola, arco, fioretto: attenti agli italiani»), ma è un dato di fatto che nel bilancio parziale della spedizione azzurra a Londra 2012, dopo tre giornate, otto medaglie su otto siano arrivate dagli sport di combattimento: santi, navigatori, poeti e combattenti, allora?
D’altra parte, l’origine stessa, e buona parte della costruzione del nostro movimento sportivo, hanno origine militare. Molti fanno risalire la nascita dello sport moderno in Italia all’arrivo a Torino di un ginnasiarca svizzero, Rudolf Obermann, nel 1833, per educare alla vita militare i principini di casa Savoia. Di più, nei programmi della prima scuola nata dall’Unità d’Italia, era obbligatorio il tiro a segno fin dalle elementari, un libro e moschetto che andò avanti con regolarità almeno sino alla fine dell’Ottocento. E gli sport da combattimento, i «combat sports» come li chiamano gli anglosassoni, hanno piena cittadinanza nei Giochi moderni fin dal 1896. Nella storia olimpica estiva, l’Italia ha ottenuto il 45% delle sue medaglie (e il 42,4% degli ori) da queste discipline.
Sport da combattimento sono ovviamente la scherma e il tiro nelle sue varie accezioni (a volo, a segno, con l’arco), la lotta e il pugilato, il judo, il taekwondo e il pentathlon moderno. Nella scherma vinciamo medaglie dal 1900, con l’uno-due nella sciabola maestri di Conte e Santelli, ne abbiamo totalizzate 120 come i francesi; la lotta ci premia fin da Londra 1908, con Enrico Porro, lombardo di Lodi Vecchio, che ottenne la prima di 20 medaglie finora; la boxe da Anversa 1920, quando il torinese Edoardo Garzena fu bronzo nei piuma, offrendoci la prima di 43 medaglie in 90 anni.
Spostando l’accento sul tiro, che soltanto noi separiamo in a volo e a segno, siamo maestri nella prima disciplina, fra trap, double trap e skeet, e costruiamo alcune delle più ricercate armi da competizione. Quanto alla seconda, non stupiscano le recenti medaglie, da Di Donna a oggi. L’Italia dei «gunmen» vanta un giorno dei giorni irripetibile, quel 12 agosto 1932 a Los Angeles in cui nella pistola automatica tre azzurri occuparono i primi 4 posti. Due di loro erano di Ravenna, il migliore, Renzo Morigi, era il federale della città, vinse lo spareggio centrando 6 bersagli a 25 metri in meno di due secondi. Lo volevano sceriffo in diverse contee, ma lui tornò in Italia a vivere declino e caduta del fascismo.
Sparare, tirare, colpire, abbattere sono gesti che appartengono agli albori della società umana: se lo sport li incanala nel superamento non cruento dell’avversario, teniamoci anche questi gesti. Destano una terribile eco, ma sono la faccia meno deprecabile della nostra aggressività.