Sergio Romano, Corriere della Sera 1/8/2012, 1 agosto 2012
L’articolo 99 della Costituzione ci dice che il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) è organo di consulenza delle Camere e del governo, ha facoltà di iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge
L’articolo 99 della Costituzione ci dice che il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) è organo di consulenza delle Camere e del governo, ha facoltà di iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge. In questa delicatissima fase della vita del Paese il Cnel avrebbe dovuto recitare un ruolo di primissimo piano ed essere protagonista proprio nelle materie di sua competenza. All’opinione pubblica sfugge qualcosa, o l’assenza è delle più clamorose? I 20 milioni di euro che lo Stato spende sono ben spesi, o sono bruciati inutilmente? Non le sembra fondata l’etichetta di «cimitero degli elefanti» che il Cnel si vede attribuita? Appare un ente inutile da sopprimere (121 membri — tutti gettonati e spesati — sono un’enormità). Non sarebbe bene sostituirlo con un ristretto numero di saggi di elevata cultura ed esperienza previdenziale, sociale ed economica? Franco Bellini franco.bellini39@libero.it Caro Bellini, I l Cnel nasce nell’Assemblea costituente da due motivazioni di cui la prima inconfessata, la seconda esplicita e chiaramente indicata nell’articolo da lei citato. Quella inconfessata è la creazione di un ente che sarebbe stato la versione democratica della Camera dei fasci e delle corporazioni. L’ideologia corporativa, che divenne particolarmente dopo la grande crisi del 1929 uno dei «piatti forti» del regime fascista, aveva suscitato attenzione e interesse soprattutto nei partiti cristiano-sociali. A molti, non soltanto in Europa, era parsa la «terza via» che avrebbe permesso di superare la lotta fra comunismo e capitalismo. Nelle intenzioni di molti costituenti, quindi, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro sarebbe stato il luogo in cui capitale e lavoro avrebbero avuto la loro rappresentanza e partecipato al governo della cosa pubblica. La seconda motivazione è nel testo dell’articolo: creare un organo da cui il Parlamento avrebbe potuto trarre indicazioni e suggerimenti sul modo in cui affrontare i problemi economici e sociali. Qualcuno (Costantino Mortati, noto costituzionalista e futuro membro della Corte costituzionale) propose addirittura, al posto del Consiglio, la creazione di consigli ausiliari presso le amministrazioni centrali dello Stato, composti di membri eletti dal Parlamento, dalle associazioni sindacali e anche da altri enti con il compito di fornire pareri tecnici su richiesta delle Camere o addirittura di proporre disegni di legge su propria iniziativa. Ma alcuni costituenti, fra cui Luigi Einaudi, temettero che una tale proposta avrebbe esautorato il Consiglio di Stato o intaccato la funzione del Parlamento. Il risultato alla fine della discussione fu l’articolo 99. Le attese andarono deluse. Il Cnel è stato, sin dagli inizi della sua vita istituzionale, la bella addormentata della Repubblica. Ha una sede molto decorosa, la villa Lubin, costruita agli inizi del Novecento grazie a un filantropo americano di origine ebraica che aveva fatto una considerevole fortuna a Chicago. È composto da persone molto rispettabili. Ma non ha quasi mai svolto le funzioni che gli erano state affidate dalla Costituzione. Anziché ricorrere al Cnel, la classe politica italiana ha preferito le «consulenze» diffuse perché presentano maggiori vantaggi. Con qualche encomiabile eccezione, permettono di assumere a spese dello Stato amici, famigli, familiari, intellettuali di area e compagni di partito. Nel frattempo, il Cnel, anche quando organizza incontri seri e interessanti, parla al vento.