Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 31/07/2012, 31 luglio 2012
NAPOLEONE E MUSSOLINI DUE SGUARDI RETROSPETTIVI
Perché i francesi sono fieri di avere avuto un imperatore come Napoleone e noi italiani forse ci vergogniamo di avere avuto un politico come Mussolini? Le loro gesta seppur differenti hanno probabilmente contribuito a fare la storia, il primo da militare con scarsa «ars eloquendi» e il secondo come statista con ottima padronanza oratorie. Hanno prodotto immagini diverse per differenze umane oppure per diversità di popoli?
Pierangelo Paleari
PPaleari@forgiadibollate.com
Rispondendo a un lettore lei ha scritto: «Sembra esistere quindi una legge della memoria che potrebbe essere formulata in questi termini: il passato è generalmente ignorato da coloro che ne sono stati testimoni e viene dissotterrato contro i padri soltanto dalla prima generazione che può compiacersi della propria innocenza». La legge, secondo lei, varrà anche per Mussolini?
Antonio Roversi, Bologna
Cari lettori, per molti anni dopo la sua morte gli inglesi continuarono a pensare che Napoleone fosse soltanto un tiranno ambizioso e afflitto da una incurabile megalomania, un avventuriero corso che aveva impiegato buona parte della sua vita a ritagliare la carta d’Europa per creare i ducati, i principati e i regni destinati a una delle più avide famiglie della sua isola. Più tardi cominciarono a guardare il personaggio con maggiore distacco e a riconoscerne i meriti. Nel profilo biografico scritto dieci anni fa da un brillante saggista inglese, Paul Johnson, si legge tra le righe una evidente ammirazione.
I francesi conoscono i suoi vizi e hanno pagato a caro prezzo i suoi errori, ma non hanno mai smesso di essergli grati per le straordinarie vittorie militari, le folgoranti conquiste e le grandi istituzioni che aveva regalato alla sua patria adottiva. Il ritorno della salma a Parigi nel 1840 e la sua deposizione nel grande mausoleo della Chiesa degli Invalidi fu un evento solenne, voluto con eguali sentimenti da un re, Luigi Filippo, e da un futuro presidente repubblicano, Adolphe Thiers. Per noi italiani, a dispetto del suo sfacciato familismo corso, Bonaparte fu l’uomo che seppe, con il suo esempio e il suo genio amministrativo, risvegliare la coscienza nazionale e preparare il Risorgimento. Il grande Napoleone di Canova, eretto nel cortile di Brera di fronte alla «sua» Pinacoteca, non è soltanto il ritratto di un imperatore; è anche un omaggio a un re italiano.
Mussolini appartiene a un’altra, più modesta, categoria. Dopo la grande opera biografica di Renzo De Felice, molti storici sono pronti a riconoscere le sue doti. Aveva idee (lo Stato corporativo ad esempio) che suscitarono un interesse europeo. Creò istituzioni che l’Italia repubblicana avrebbe usato per molti anni. Affrontò la grande crisi dell’inizio degli anni Trenta con soluzioni che si dimostrarono brillanti ed efficaci. Fu per molti aspetti un modernizzatore. Seppe creare, per qualche tempo, un forte consenso nazionale. E fu probabilmente il meno crudele dei dittatori europei. Ma non credo che gli studiosi del suo regime potranno dimenticare la retorica operistica dei suoi discorsi, l’inutile teatralità dei suoi atteggiamenti, la sua alleanza con il peggiore uomo politico del Novecento e il precipitoso ingresso in una guerra doppiamente sbagliata: per l’impreparazione del Paese e per i pessimi risultati che ne sarebbero derivati se la Germania l’avesse vinta.
Sergio Romano